Giuliano Foschini, L’Espresso 22/11/2013, 22 novembre 2013
VIETATO INDAGARE SUI VELENI
[Colloquio Con Giorgio Assennato ] –
La domanda è: «perché non lo abbiamo fatto noi? E soprattutto, sapete che con le attuali norme italiane quei risultati scandalosi ai quali sono arrivati gli americani, noi non li avremmo mai saputi? Con le nostre metodologie, quelle volute qualche mese fa dal governo Letta, tutto sarebbe stato in ordine. Quando invece nulla lo è». Giorgio Assennato, ordinario di medicina del lavoro, è direttore generale dell’Arpa Puglia e presidente delle Assoarpa, l’Associazione di tutte le Agenzie regionali per l’ambiente italiane. È quel «rompicoglioni», testuale, che la famiglia Riva voleva far fuori perché con le sue analisi per primo ha denunciato come l’Ilva stava distruggendo Taranto. Accetta di parlare con "l’Espresso" di quanto emerso nelle indagini degli americani sulla Campania: «Quando ho letto la vostra inchiesta sono saltato sulla sedia. Quello studio effettuato da una società di servizi americana per conto della US Navy è un paradigma nella valutazione e gestione del rischio per la popolazione residente in siti inquinati. Quella stima del rischio, l’integrazione di tre studi epidemiologici sulle famiglie dei militari (su cancro, malformazioni congenite ed asma), l’indagine sulla sicurezza alimentare, rappresentano un modello eccellente perché combina il rigore di un’osservazione scientifica pianificata e controllata. Ora mi chiedo: bravi gli americani? Ma l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, dov’è? Peccato non abbia visto e partecipato».
Che significa, dottor Assennato?
«L’intero sistema nazionale di protezione ambientale che è in attesa di una nuova normativa dalle Camere (da tre legislature si discute stancamente il progetto di legge Realacci-Bratti) avrebbe trovato un elemento operativo di grande crescita professionale in un’attività che finalmente riuscisse a definire la sinergia ambiente-salute attraverso l’interazione delle istituzioni ambientali con quelle sanitarie (Istituto Superiore di Sanità e Dipartimenti di Prevenzione delle Asl). Noi come dg delle Arpa italiane siamo stati convocati per discutere del caso Terra dei Fuochi e Campania, dopo le rivelazioni di Schiavone e l’inchiesta de "l’Espresso". Però dobbiamo avere il coraggio di dire che la nostra legge non ci avrebbe permesso di scoprire quello che hanno fatto gli americani. Questo è inaccettabile. E non è un discorso astratto: guardate che sta succedendo a Taranto».
Il governo dice che a Taranto ha avviato un percorso virtuoso.
«E invece rischiamo un altro caso Napoli. Le procedure per la valutazione di impatto sanitario sono alla base del paradosso del caso Taranto. Nell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale, in pratica il certificato che consente l’apertura dell’impianto) dell’Ilva vengono trascurati quasi del tutto gli aspetti sanitari: nessuno dice cioè quanto fa male alla gente quello che buttano nell’aria. Ed è lo stesso dirigente firmatario dell’Aia, con una contraddizione formidabile, a scrivere che "la riduzione della capacita produttiva dell’impianto, o la sua delocalizzazione anche scaglionata nel tempo, appaiono al momento come le più efficaci misure di mitigazione del rischio sanitario nell’area di Tamburi". Cioè, dicono, vi autorizziamo a fare una cosa però, per stare tranquilli, la gente del quartiereTamburi dovrebbe fare altro. Di fatto così hanno cancellato una norma regionale che utilizzava le stesse metodologie usate nello studio dell’US Navy. E che prevedeva in caso di sforamenti, immediate riduzioni delle emissioni inquinanti. E invece il governo lo scorso agosto ha varato il decreto voluto dagli ex ministri Balduzzi e Clini che rende inapplicabile la nostra legge: bisognerà aspettare ancora 4 anni per sapere se le nuove prescrizioni sono efficaci per tutelare la salute. Ci viene proibito di stimare il rischio cancerogeno come ha fatto Us Navy. A noi e a qualsiasi altra regione. Per questo abbiamo impugnato il decreto al Tar».
Come può cambiare la situazione?
«È evidente che il problema è politico: penso che sia maturo il tempo per il Parlamento di approvare il progetto di legge Realacci-Bratti che, istituendo il sistema nazionale di protezione ambientale fondato sui principi di terzietà, sussidiarietà, rispetto dei livelli essenziali di tutela ambientale e finanziamenti adeguati, garantirà definitivamente i cittadini che l’Arpa non è lo strumento che suona la musica gradita ai governatori delle regioni (dei quali attualmente è mero ente strumentale) ma parte di un sistema tecnico-scientifico capace di offrire prestazioni omogenee e qualitativamente elevate in tutta Italia. Non ci saranno sempre americani».