Nicola Bruno, Focus 20/11/2013, 20 novembre 2013
BIBLIOTECHE SENZA CARTA
Quando lo scorso settembre è stata inaugurata BiblioTech, una nuova biblioteca nella contea di Bexar, in Texas, in molti sono rimasti a bocca aperta. Non tanto perché il nuovo edificio si presentava come una sorta di Apple Store, con decine di computer sui tavoli centrali e postazioni per iPad sulle pareti verniciate di fresco. Quanto perche era del tutto inutile provare a cercare un volume. Niente cataloghi da consultare all’ingresso, né scaffali lungo cui camminare per scegliere i libri da prendere in prestito. Addio anche a quel caratteristico odore di carta e legno. C’ò solo una lunga fila di postazioni digitali e 10.000 ebook a cui accedere a proprio piacimento, senza scomodare bibliotecari e senza attese.
RIVOLUZIONE. Per quanto una biblioteca senza libri possa sembrare una contraddizione in termini. BiblioTech rappresenta l’avamposto più estremo di una rivoluzione che da tempo sta trasformando questi luoghi nati per conservare un sapere che era limitato e poco accessibile. Per rendersi conto di come la tecnologia sta rivoltando queste istituzioni, basta fare un salto nell’avveniristica James B. Hunt Library della North Carolina State University. Si potranno vedere in azione frenetici robot (chiamati BookBot) che consegnano un’opera in meno di un minuto dalla richiesta. E imponenti pareti di schermi touch che permettono di accedere virtualmente a qualsiasi opera. E ancora sale con le stampanti 3D, simbolo della rivoluzione dei maker per cui la conoscenza è soprattutto “saper fare”.
BENVENUTI IN PIAZZA. A cambiare sono soprattutto gli equilibri tra le opere e chi le consulta. «Se è vero che l’informazione diventa sempre più immateriale, gli utenti potranno guadagnare un posto più centrale all’interno delle biblioteche» spiega Anna Maria Tammaro. docente di Biblioteca Digitale all’Università di Parma e coordinatrice italiana del Master Internazionale Digital Library Learning. «Prima quasi tutto lo spazio era occupato dagli scaffali, e agli utenti ne veniva lasciato poco. Ma nei prossimi anni assisteremo a un’inversione di tendenza: le biblioteche diventeranno luoghi di conversazione che mettono al centro i cittadini. Insomma una vera e propria piazza del sapere». Dove per sapere non si intende solo quello librario, ma tutte le altre forme di conoscenza abilitate dall’innovazione hi-tech. Ma al di là della tecnologia, le biblioteche devono oggi fare i conti anche con problemi di natura organizzativa.
SAPERE APERTO. Se prima la conoscenza si trasmetteva per lo più attraverso supporti chiusi e statici (come ad esempio le riviste o i libri), oggi la comunità scientifica utilizza sempre più formati aperti e dinamici (come i dataset genetici o quelli astronomici su cui lavorano più gruppi di ricerca), che rispecchiano la natura fluida e collaborativa del sapere nell’era dell’abbondanza informativa. È il paradigma dei Big Data che irrompe non solo nella scienza, ma in tutti gli aspetti della nostra vita, ponendo alle biblioteche dilemmi di non facile risoluzione: come conservare tutta questa mole di dati? E qual è il valore aggiunto che può essere offerto a ricercatori e cittadini?
Secondo la rivista Nature, le biblioteche possono avere ancora un ruolo cruciale per “raccogliere, esplorare, visualizzare, etichettare e condividere i dati”. Ma come sottolinea Eric Meyer, ricercatore dell’Internet Institute dell’Università di Oxford, per ora sono poche le istituzioni che hanno effettuato una transizione dal modello «di biblioteca tradizionale con la sala lettura e le statue accanto all’entrata principale, a una (immateriale) a cui i ricercatori possono accedere ili ogni istante. Al di là dello spazio di immagazzinamento necessario, rimane il fatto che molte fonti di Big Data non sono strutturate, ma si presentano come un flusso che cresce e cambia di continuo».
FRAGILI TWEET. Un esempio perfetto è Twitter. Di recente una ricerca dell’Università Old Dominion di Norfolk, Stati Uniti, ha analizzato i contenuti condivisi online durante la cosiddetta Primavera araba in Egitto e Tunisia: è emerso che circa il 27% dei messaggi di quei giorni sono già andati persi dopo due anni. Si tratta di una quota consistente di informazioni, destinata a crescere nel tempo (i ricercatori hanno stimato che ogni giorno svanisce nel nulla lo 0,02% di tutte le risorse online). Proprio per cercare di porre un freno alla fragilità dei tweet e a questa emorragia di dati (che potranno essere di primaria importanza per gli storici che vorranno ricostruire le rivoluzioni mediorientali), la Library of Congress degli Stati Uniti ha iniziato ad archiviare tutti i 400 milioni di tweet pubblicati ogni giorno dai cittadini statunitensi. Un compito encomiabile, che però rappresenta solo una goccia nel mare di 2,5 quintilioni di byte di dati prodotti ogni giorno su Internet.
Se per ora sembra impossibile (e forse anche inutile?) creare un backup di tutto ciò che viene condiviso online, iniziano a prendere forma diversi progetti di biblioteca 2.0.
RACCOLTE TRANSATLANTICHE. Uno
degli esempi più citati è la Digital Public Library of America (Dpla), lanciata lo scorso marzo da un gruppo di ricercatori di Harvard con l’intenzione di costruire un’alternativa – pubblica e non privata – al controverso progetto di Google di digitalizzare tutte le opere in possesso delle biblioteche. Definita “la biblioteca di Utopia” dal filosofo di Princeton Peter Singer, la Dpla già mette a disposizione gratuitamente online 2,5 milioni di documenti (libri, quadri, video, archivi sonori, giornali). Ma il suo scopo non è tanto centralizzare tutta la produzione culturale (un compito, forse, possibile solo per la biblioteca di Babele immaginata dallo scrittore Jorge Luis Borges), quanto fornire a tutte le biblioteche sparse nel Paese una piattaforma tecnologica per la gestione e la condivisione dei beni digitali. Insomma, un modello a network distribuito in cui le risorse vengono prima raccolte a livello locale, poi aggregate e messe a disposizione online secondo uno standard unico.
La Dpla è già in grado di operare in sinergia con Europeana, la piattaforma promossa dall’Unione Europea che a sua volta fa da punto di convergenza di tutte le opere digitalizzate nei Paesi del vecchio continente. Anche qui il ritmo di crescita è impressionante: a settembre 2013 Europeana offriva già 29 milioni di documenti. Intanto la British Library ha lanciato nei mesi scorsi il progetto per digitalizzare 4,8 milioni di domini web entro la fine del 2013. Lo scopo, ha spiegato Roly Keating, direttrice della British Library, è «salvare la memoria digitale della nazione che rischia di essere risucchiata nel buco nero di un sistema creato per l’inchiostro e la carta».
LA VIA ITALIANA. E da noi? Per ora si fa poco. «Sono state promosse tante iniziative (come ad esempio Magazzini Digitali o la Biblioteca Digitale Italiana lanciata già nel lontano 2003), ma a un livello più profondo manca la volontà politica (e finanziaria) di dare una strategia digitale» sottolinea Anna Maria Tammaro.
Le cose vanno un po’ meglio sul fronte del prestito digitale. Quasi 3.000 biblioteche pubbliche fanno già parte di Media Library Online (Mlol), servizio che mette a disposizione circa 300.000 titoli “immateriali” di tutti i tipi: non solo ebook, ma anche dischi, film, quotidiani e riviste accessibili gratuitamente e da remoto. Non serve, cioè, andare in biblioteca per prenderli in prestito: basta essere iscritti e possedere un tablet o un e-reader per consultarli da casa propria. «Mlol è stata lanciata nel 2009» spiega Giulio Blasi, amministratore delegato di Horizons Unlimited srl, la società che ha sviluppato la piattaforma. «E ora è arrivata a coprire quasi la metà delle biblioteche pubbliche italiane. Un dato questo che ci posiziona bene a livello europeo. Con il 44% di strutture già in grado di prestare libri elettronici siamo molto più avanti di Germania (16%), Francia (4%) o Spagna e Olanda dove questi servizi sono ancora marginali». Quello che questi numeri non rivelano, però, o la quantità ancora esigua di opere digitali a disposizione degli utenti: per ora la collezione media di ebook di ogni biblioteca aderente è di appena 283 opere, una cifra irrisoria rispetto ai 10.000 degli Stati Uniti. «Non è tanto un problema delle biblioteche, quanto degli editori» spiega Blasi. «In Italia, oggi, il mercato degli ebook offre solo 15.000 titoli a fronte del milione degli Usa». Una cosa è certa: la via è segnata. Nel 1338 la biblioteca della Sorbonne (una delle più grandi al mondo) conservava circa 1.728 manoscritti. Nel 2013 la British Library, la più estesa della nostra epoca, ha 170 milioni (100.000 volte di più) di opere fra libri, manoscritti, mappe ecc.. C’è da scommettere che, dopo l’ultima svolta digitale, arriverà presto a quota 1 miliardo.