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 2013  novembre 21 Giovedì calendario

L’INUTILE PROPAGANDA CONTRO L’EURO


Gran Bretagna, Danimarca, Svezia non hanno l’euro e stanno bene. Prima dell’euro, negli anni ottanta, l’Italia andava benissimo, con alta crescita e ricchezza per tutti. Bisogna abbandonare l’euro.

Questa è la semplice e seducente storia che racconta chi pensa che faremmo bene a liberarci dalle grinfie di una moneta che secondo loro ci ha impoverito.
Per valutare l’attendibilità del ragionamento è utile ricordare come sono davvero andati gli spensierati anni ottanta. È vero che erano caratterizzati da una discreta crescita reale del 2-3% l’anno. Purtroppo, la ricchezza creata è stata in gran parte alimentata dalla benzina di una spesa pubblica incontrollata, che è cresciuta nel decennio in termini reali del 55% e come incidenza sul Pil di circa 7 punti. Il fardello del pesante debito pubblico che ci portiamo appresso fu creato in gran parte in quegli anni. La finta ricchezza era un trasferimento a favore dei beneficiari delle facili assunzioni statali, dei destinatari della valanga di contributi erogati nel nome della ricostruzione post Irpinia e del popolo dei Bot che godeva di interessi straordinariamente alti. Il conto di quella festa lo paghiamo noi e lo pagheranno i nostri figli e i nostri nipoti, che dovranno per decenni finanziare un debito di oltre duemila miliardi di euro.
Il rave party degli anni ottanta finì poi male. Nel 1992 un paese oberato da un debito altissimo e interessi insostenibili ha dovuto svalutare il cambio e, insieme, sottoporsi a una pesante restrizione di bilancio: ne seguì il blocco della crescita, il crollo degli investimenti, la perdita di oltre un milione di posti di lavoro e un balzo dell’iniquità nella distribuzione dei redditi. Comunque, tutto ciò non sarebbe bastato: dovevamo ridurre i tassi d’interesse e generare un rilevante avanzo primario per rendere sostenibile il nostro debito. Lo abbiamo fatto confermando il nostro impegno ad entrare nella moneta unica e a farlo fin dall’inizio. L’ancora della moneta unica ha salvato il paese.
Il problema è che l’ossigeno accumulato nella seconda metà degli anni novanta fu consumato nel decennio successivo. Avremmo dovuto rendere più produttiva la spesa pubblica, migliorare la regolazione dei servizi per contenerne il costo, utilizzare meglio le risorse destinate a investimenti pubblici costosissimi (1% di Pil più della Germania) e spesso inutili, ridurre in modo duraturo l’evasione fiscale, trasformare la spesa sociale da un bancomat di assegni a servizi efficienti e sburocratizzare il paese. Invece, la spesa pubblica ha continuato ad aumentare, e con essa il costo dei servizi pubblici, e la burocrazia è peggiorata anche a seguito dell’improvvida modifica del titolo V della Costituzione. Il risultato? Una bassa crescita fino al 2007 e un pesante declino successivamente. Risultati molto peggiori di quelli degli altri principali paesi, dovuti - è bene ricordarlo a chi propone di uscire dall’euro - non tanto all’export, ma alla bassa produttività dei settori che producono per il mercato interno.
Immaginiamo adesso di uscire dall’euro. Primo problema: dal momento in cui la decisione cominciasse a maturare, ci sarebbero massicce fughe di capitali all’estero, tali da portare rapidamente al collasso lo Stato e il sistema bancario. Secondo problema, ammesso di superare il primo: il debito verso l’estero aumenterebbe di colpo. Significherebbe, come in Grecia, dover dichiarare un default e rinegoziare il debito. Terzo problema: nel 1992 lo spread con la Germania superò i 700 punti, nonostante il nostro tasso di crescita fosse più alto. Con un rischio default e con una crescita zero, a quanto salirebbe? 900? 1000? Torneremmo al 1992, con tre differenze. Prima, i numeri saranno peggiori e conseguentemente l’impoverimento sarà ancora più drammatico. Seconda, non ci sarà più la prospettiva di un’ancora di salvezza che era ed è l’Euro. Terza, nel caos che regnerebbe, verrebbe a mancare lo stimolo per fare quelle riforme di cui abbiamo comunque bisogno.
A chi vuole uscire dall’Euro diciamo: facciamo prima quelle riforme, poi potremo pure valutare se tornare alla lira. La verità è che se le realizzeremo è probabile che a quel punto scopriremo che tutto sommato non è cosi male rimanerci dentro. E’ un rischio che possiamo correre!

Gli autori dell’articolo sono deputati del Pd