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 2013  novembre 21 Giovedì calendario

AGRICOLTURA SARDA A RISCHIO CRACK


In Sardegna, nel giorno dei funerali - a Olbia vi ha partecipato il ministro dell’Integrazione Cécyle Kyenge - si fanno i primi esercizi con l’aritmetica del disastro. Per la Protezione Civile sono 1.750 gli sfollati. Per la Croce Rossa, 2mila.
Intanto, appare sempre più chiaro che i danni economici maggiori sono concentrati sul settore primario. Un miliardo secco, nel calcolo della Coldiretti. Una stima onnicomprensiva. In questa somma, c’è tutto: infrastrutture, aziende agricole, allevamenti, campi, frutteti, uliveti. «In queste ore - spiega da Cagliari Giuseppe Casu, segretario di Giovani Impresa di Coldiretti - stiamo effettuando un lavoro chirurgico. Per esempio, dobbiamo ancora capire quante sono le greggi di pecore disperse».
Meno apocalittico, e più mirato, il conto paventato da Confagricoltura. «Nell’occhio del ciclone - racconta Gregorio Raspitzu, presidente di Sassari-Olbia-Tempio - c’è la metà delle 35 imprese che si dedicano all’allevamento in purezza. I danni diretti ammontano a 50 milioni di euro». Gli effetti maggiori non riguardano il bestiame, quanto la dimensione più agricola. «Prendiamo il mio caso - dice Raspitzu - i miei 120 vitelli da carne di razza Limousine si sono salvati tutti, mettendosi al riparo degli uliveti, che hanno tenuto. L’agrumeto invece è stato sommerso dall’acqua. Il problema è la semina autunnale che sarebbe dovuta servire per il foraggio destinato alle bestie l’anno prossimo».
Dunque, le cose si complicano in prospettiva: «Un altro danno ancora tutto da conteggiare - rileva Mario Guidi, presidente nazionale di Confagricoltura - è costituito dai foraggi stoccati. In ogni caso, la stagione è compromessa». Agrumeti, magazzini, campi e alcune specifiche coltivazioni: «Sembrano coinvolte - nota l’economista Ersilia Di Tullio, coordinatrice dell’osservatorio sulla cooperazione agricola di Nomisma - anche le carciofaie». In questi primi giorni, non è semplice aggiornare la cartina della calamità. C’è, però, un dato idrogeologico sottostante. «Il nostro terreno - nota Raspitzu - è a disfacimento granitico. L’acqua, se cade violenta, non vi penetra». Non penetra e, poi, non defluisce, creando l’effetto straniante della risaia nel centro del Mediterraneo.
«La calamità naturale - nota Sandro Dettori, direttore del dipartimento di scienza della natura dell’università di Sassari - è stata frenata dall’abbandono dei pascoli sulle montagne della Gallura, che ha consentito una fisiologica riforestazione che si è opposta alla forza delle acque, ma è stata allo stesso tempo favorita dalla scarsa manutenzione dei fossi, delle scoline e dei boschi, dovuta al medesimo fenomeno di ridimensionamento del settore primario». Terra e acqua. Per gli animali e per gli uomini, adesso, c’è anche il rischio della qualità dell’acqua: venti depuratori e sei potabilizzatori non funzionano più.
Ora, peraltro, si teme un effetto domino su altri pezzi del già gracile apparato produttivo sardo. Per esempio la filiera del formaggio. «Un decimo del latte che usiamo - spiega Paolo Pinna, responsabile marketing della Fratelli Pinna di Thiesi - proviene dalle zone colpite. È ancora presto per capire se alcuni degli allevatori che ce lo conferiscono ha sofferto dei danni». La questione è, però, che non ci sono soltanto i danni fisici. Ci sono anche quelli finanziari. «Negli ultimi tempi - dice Pinna - avevamo cercato di ridurre gli anticipi e i prestiti agli allevatori. Data la restrizione del credito, non potevamo più fare loro da banca. Adesso, in queste condizioni di emergenza, torneremo però a questa pratica. Non ci tireremo indietro».