Roberto Gervaso, il Messaggero 21/11/2013, 21 novembre 2013
SUPERMANAGER: ANTONIO MASTRAPASQUA
Più che a un supermanager cipiglioso e spocchioso, Antonio Mastrapasqua (presidente dell’Inps) sembra un mistico a dieta. Ma un mistico non bisbetico: un mistico alla mano, che parla poco, ascolta molto. Un mistico che non ho mai visto ridere, ma solo sorridere. Se lo inviti a cena, fa passare anche a te la voglia di mangiare, tanto è frugale e sobrio. Non beve e i suoi pasti non sono più abbondanti di quelli di un fachiro. Cammina in punta di piedi, preceduto dalla sua ombra, che gli fa da scorta e non lo lascia mai.
Temo, e gli esprimo tutto il mio cordoglio, che non abbia vizi. Non beve, non fuma e, quel che è peggio, nella giungla dello Stato e del parastato, non complotta. Come, senza tessere trame, sia arrivato dov’è è ancora un mistero più fitto di quello, fittissimo, della Trinità. Io credo che abbia bruciato le tappe di una carriera folgorante con l’intelligenza, la volontà e una memoria di ferro. Al suo confronto, Pico della Mirandola era lo smemorato di Collegno.
In quest’uomo, eternamente cortese e sempre disponibile incapace di scene madri e sceneggiate, ma solo di lucidi ragionamenti e calcolate previsioni, in quest’uomo dal volto allungato, scarno e rassicurante che potrebbe essere uscito dal pennello di El Greco o di Modigliani, c’è una specie di robot, che ricorda tutto, non dimentica nulla. Un manager che conosce la macchina dello Stato come il gran camerlengo della prima, della seconda, e delle future Repubbliche Gianni Letta, reso immortale non solo dalla Provvidenza, ma anche da quel dono dell’ubiquità che lo fa essere presente ovunque.
A un funerale con l’impeccabile compunzione e commozione di un dolente, a un matrimonio, a un battesimo, a una comunione, a una cresima, a un’alzabandiera. Più guardo Mastrapasqua, più mi domando come possa amministrare con tanta impassibile pacatezza un baobab come l’Inps, che, grazie a lui, non è più un baraccone, ma un tempio di efficienza e rigore. Si sveglia all’alba, s’intuta e fa lunghe passeggiate (lui ex velocista), sempre preceduto dalla sua ombra, che non lo lascia mai. Più cammina, più pensa, non riflettendo abbastanza sulle parole di Churchill che a novant’anni, a un giornalista che gli chiedeva il talismano della sua longevità, rispondeva: «No sport».
Antonio li ha praticati tutti e in molti è supergallonato. Non so quanti anni abbia (non glie l’ho mai chiesto) ma non li dimostra, grazie all’elisir dell’operosità. Ha sempre il cellulare acceso e risponde a tutti, servitore, in questo, non solo di uno Stato, che non sempre lo merita, ma anche della comunità. Se gli mandi un sms, dopo cinque minuti ti risponde. Se gli mandi una e-mail, ne riceverai in tempo reale una sua. È garbatamente inflessibile e veglia sull’Inps, come se l’avesse messa al mondo lui. Ne conosce vita e miracoli, e se gli sfugge qualcosa è perché in quel momento non gli interessa. Niente lo coglie di sorpresa e nessuno, reo di un’insipienza o di un’insolvenza, la fa franca.
Odia la mondanità ed è più facile trovarlo nella filiale più periferica del suo impero che in un salotto. È tutto casa e ufficio, anzi uffici, e quando non si preoccupa di pensioni e previdenza sociale, incontra altri potenti, soprattutto ministri, che possono fargli fare tutto, meno quello che lui non farebbe mai. Lo accusano di essere un accentratore, e lo è. E fa bene, vista la titanica capacità di lavoro e quelle doti che contraddistinguono un leader: l’energia e la sintesi, il dono più raro di chi comanda.
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