Paolo Isotta, Corriere della Sera 21/11/2013, 21 novembre 2013
QUANDO VERDI ENTRÒ NELLA BOUTIQUE E CAMBIÒ MUSICA AI SUOI «LOMBARDI»
I Lombardi alla prima Crociata è la quarta Opera di Verdi, seguendo al Nabucco . Dopo vi furono l’ Ernani , I due Foscari , la Giovanna d’Arco , il Macbeth e I masnadieri , tutti esperienze creative fondanti. Perciò l’artista che nel 1847, il medesimo anno del Macbeth , si trova a dover scrivere la versione francese dei Lombardi , è altro da quello che li creò. Questi si rende conto d’esser la Tragedia di Temistocle Solera, messa in musica, qualcosa d’eteroclito; vorrei dire qualcosa di lutulento, nel senso che mescola pagliuzze aurifere a un certo qual fango.
Or Verdi è Autore di tale già conquisa autorità che gli viene chiesta un’Opera, anzi un Grand-Opéra in francese per le tavole della parigina Académie Royale de Musique . Il mondo che deve riceverla è quello descritto nell’Educazione sentimentale di Flaubert, malato e corrotto; tenuto dal Roi-poire , dal Re Pera , giacché così veniva definito il borghese Luigi Filippo. Del quale un ritratto degno di Tacito si deve ad Aléxis de Toqueville. Alla corruzione farà seguito l’infamia rivoluzionaria, anch’essa da Flaubert eternata. Tale mondo è indegno di ricevere un capolavoro di Verdi.
Già Rossini prima di scrivere il Guillaume Tell aveva rifatto due suoi capolavori per il palcoscenico parigino: il Mosè in Egitto e il Maometto II . Così Verdi prima di scrivere direttamente per l’Opéra I vespri siciliani decide di dare una versione francese dei Lombardi . Ma scrive in realtà un’altra e nuova Opera nella quale gli stessi brani dai Lombardi provenienti acquisiscono grazie al contesto nuovo aspetto. Nuova Opera nella quale le parti nuove sono prevalenti e determinanti a fondarne la fisionomia. Onde la Jérusalem ch’è un capolavoro assoluto; e ch’è una delle cose più grandi da Verdi mai fatte; senza conoscere la quale non si darà di Verdi conoscenza.
Rossini, Donizetti, Verdi, hanno scritto Opere francesi: esse s’inverano nella traduzione italiana, e con essa vanno eseguite. La Jérusalem è il solo caso nel quale l’edizione francese va mantenuta, tanto essa in Francese è davvero pensata: e infatti dell’esperienza creativa, di quella che il Kranz, parlando di Eschilo, chiama die grosse Erlebnis der Dichter, ossia «la grande esperienza del Poeta», è parte la parte migliore di Verdi, Giuseppina, alla mano della quale si debbono i versi materialmente scritti in francese sulla partitura .
La Jérusalem è un Grand-Opéra come lo è già il Nabucco , al quale mancano solo le Danze per esserlo completamente: infatti l’Opera francese, che Danze ha, impiega la banda in modo meno massiccio e costante del Nabucco . Le Danze, meravigliose anche se non giungenti al vertice, ch’è quello delle Danze del Macbeth versione parigina del 1865, sono direttamente ispirate a quelle, finissime, del Mosè : le quali, a loro volta (ma questo lo ha scritto solo il modesto firmatario) sono passate attraverso Le creature di Prometeo di Beethoven. L’Opera francese è piena di grandiosi brani d’insieme; la parte del protagonista, il tenore, è concepita per un Duprez, l’inventore del Do di petto, allo stremo, che noi allo stremo sappiamo per la preziosa testimonianza di Berlioz. Ma al tenore sono legate le pagine sublimi: questi è falsamente convinto di fratricidio e viene spogliato delle insegne cavalleresche e della nobiltà, consegnato all’infamia. Un Araldo celebra la nera liturgia insieme col coro; di tra essa, il tenore protagonista piange, giacché la degradazione e l’infamia sono peggiori della morte.Non ho mai potuto ascoltare questo gigantesco affresco, preceduto da una Marcia funebre che anticipa la Terza Sinfonia di Mahler, senza giungere alle lagrime.
Or la commozione mi si è rinnovata ascoltando la Jérusalem , eseguita senza tagli e con tutte le danze, nel piccolo teatro Magnani del nobile Municipio romano di Fidenza. Chi l’ha fatta mettere in scena non è una ricca Fondazione lirica ma una modesta Associazione chiamata Gruppo Promozione Musicale Tullio Marchetti col patrocinio del Comune di Fidenza e della Provincia di Parma; e quest’Associazione fa allestire anche altri spettacoli operistici. La Jérusalem nacque per l’immensa, quanto a spazî, Opéra , che Verdi dispregiativamente definiva la grande boutique ; e venne scritta per un’orchestra di ottanta elementi e un coro in proporzione: a Fidenza l’orchestra conta trentanove professori, colle parti reali dei fiati. Ebbene, la partitura è scritta con tale sapienza che le proporzioni sono assolutamente rispettate e essa suona in modo perfetto, quindi anche grandioso ove occorra. Il merito va innanzitutto al direttore d’orchestra, Marco Dallara, che della difficillima partitura dà una versione nitida e piena di vita; il maestro del coro è Fabrizio Cassi; l’orchestra e la Filarmonica delle terre verdiane .
L’Opera è piena di comprimarî che rivestono grande importanza: nell’allestimento fidenziate vanno tutti bene tranne il più importante di essi, l’Araldo che celebra la liturgia della degradazione; i protagonisti sono addirittura fulgidi. Due sono dei nostri connazionali viventi in Australia, il tenore catanese Rosario La Spina e il soprano padovano Daria Masiero. Il tenore ha una dizione francese perfetta e un canto pieno di pathos; secondo me sarà un grande Arnoldo del Guglielmo Tell e mi auguro che venga fermato qui da noi senza che debba esibirsi in teatri australiani. Lo stesso va detto per la Masiero, soprano drammatico di coloratura che vorremmo divenisse una seconda Anna Pirozzi. Il terzo protagonista è invece un nome noto e caro, il basso Carlo Colombara ch’è stato meritamente festeggiatissimo da un pubblico di competenti veri. Gli altri ottimi interpreti sono donato Di Gioia, Massimiliano Catellani, Cesare Lana e Stefania Maiardi. Il primo ballerino, anch’egli meritamente salutato, è Giuseppe Picone; le coreografie sono di Marco Batti.
Sui bellissimi costumi di Artemio Cabassi Riccardo Canessa fa una regia esemplare: la scena (sempre Cabassi) è unica, il palcoscenico piccolo ma sfruttato in profondità giacché l’ottima acustica del teatro fa sì che la voce non vada, come si dice in gergo, indietro : e le convenzioni del Melodramma sono attuate con quella forza che ne dimostra l’eternità.