Riccardo Luna, la Repubblica 21/11/2013, 21 novembre 2013
LA STARTUP DELLA SPERANZA CHE L’AMERICA CI COMPRA
SI SONO tolti una bella soddisfazione: abbiamo fatto vedere che, cavolo!, se si lavora bene e ci sono buone idee anche in Italia si possono fare grandi cose». Silvano Spinelli, 61 anni molto ben portati, è seduto su una montagna di soldi. Martedì, da un notaio milanese, è stata completata l’operazione che getta una luce diversa, molto più concreta, al rutilante fenomeno delle startup.
LA SOCIETÀ di Spinelli, la Eos, è stata venduta ad una società americana per un valore complessivo di circa 450 milioni di dollari. Si tratta di una cifra enorme, ma non sono solo i soldi la vera cifra di questa storia che è invece una parabola perfetta dell’innovazione possibile oggi in Italia, con i pregi e i difetti. I soldi però sono davvero tanti. Si tratta della più grande exit (si chiama così il momento in cui una startup viene ceduta e i fondatori incassano), da più di dieci anni: forse dalla quotazione in Borsa di Tiscali. Ma allora eravamo in piena bolla della New Economy. Qui non c’è nessuna bolla e non parliamo di Internet ma di biotech. In particolare di farmaci antitumorali. Anzi, di un farmaco così promettente che gli americani della Clovis hanno deciso di investire una somma tutt’altro che banale, anche per una società quotata a Wall Street.
La storia è questa. Nel 2006 il manager chimico farmaceutico Silvano Spinelli con Gabriella Camboni ed Ennio Cavalletti decidono che è il momento di ripartire. I tre assieme avevano alle spalle il successo di Novuspharma, una società specializzata in farmaci chemioterapici, quotata in Borsa nel 2000 e fusa con la americana Cell nel 2004. La nuova impresa, che decidono di chiamare Ethical Oncology Science, presupponendo quindi che non tutta la scienza dei tumori sia etica, parte da presupposti totalmente diversi: «Nel primo caso avevamo personale, infrastruttura collaudata, prodotti in fase clinica e chiedevamo solo finanziamenti per completare l’opera. Con la Eos non avevamo nulla se non la nostra esperienza e la consapevolezza che nel mondo ci sono molte più idee che manager disposti a svilupparle». L’intuizione si rivela vincente come vedremo. Salgono subito a bordo gli investitori francesi di Sofinnova; poi si aggiungeranno gli olandesi di Aescap e, nel 2009, anche il fondo italiano Principia I, ragione per cui oggi anche il mondo dei venture capital nostrani giustamente esulta per il successo della operazione.
E qui la storia diventa una favola paradossale perché la ricerca delle “buone idee” dei tre italiani si ferma a Moorpark, nella Simi Valley, dove ha sede una piccola azienda biotech, Advenchen, che produce molecole. Ed è in uno di quei prodotti che Spinelli vede il tesoro possibile. «Abbiamo comprato la licenza per tutto il mondo tranne la Cina dando mandato ai grandi laboratori italiani di sviluppare il farmaco». Che nel 2010 ha visto la luce, si chiama Lucitanib e secondo il primo round di test clinici conclusi con successo è particolarmente efficace nella cura del tumore al seno. Quando si parla di cancro occorre sempre essere molto cauti con l’ottimismo, ma intanto questa storia ha una morale molto chiara: «Con i soldi dei francesi e degli olandesi abbiamo comprato un prodotto da laboratorio americano, lo abbiamo trasformato in Italia e lo abbiamo rivenduto agli americani». Per un valore complessivo superiore di venti volte ai capitali raccolti per far partire l’impresa.
Gli americani sono la Clovis, un colosso biotech quotato in Borsa (ragione per cui l’annuncio è stato dato nella notte di mercoledì quando a Wall Street le contrattazioni erano chiuse). «I fondatori di Clovis hanno alle spalle il successo del Thalitomide» spiega Spinelli, «sono bravissimi nello sviluppare farmaci anticancro da vendere in tutto il mondo, per questo abbiamo accettato che una parte dell’acquisizione fosse pagata con 3,7 milioni di azioni, pari a 190 milioni di dollari».
Esultano, com’è ovvio, anche a Principia, uno dei principali operatori di venture capital nostrani, che nella operazione ha investito poco meno di tre milioni di euro (in parte anche pubblici) e che ne vede tornare a casa più di trenta (andrà al ministero per lo Sviluppo Economico la quota pubblica). «Questa vicenda insegna che sì i giovani sono importanti», dichiara il presidente Roberto Mazzei, «ma per costruire realtà di successo servono imprenditori seriali, ovvero esperienza e specializzazione. Anche da parte di chi investe».
Sarà per questo che il primo pensiero di Silvano Spinelli il giorno dopo, seduto idealmente su una montagna di banconote, va proprio ai giovani. «Adesso vorrei fare in modo di sfruttare la mia visibilità con gli investitori per promuovere progetti belli in Italia e con un management italiano ma di giovani. Non con me che ho 61 anni! Chiamatemi, sono a disposizione».