Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 21 Giovedì calendario

L’ERA DELLA CRAVATTA FINISCE DOPO 400 ANNI


La catena di negozi di cravatte Tie Rack chiuderà entro la fine dell’anno tutti i punti vendita in Gran Bretagna. Gli affari non vanno bene, la concorrenza dei centri commerciali di abbigliamento è spietata, ma la vera ragione della chiusura è un’altra: la cravatta non la porta più nessuno.
Tie Rack era nata nel 1981 dall’idea di un commerciante di origine sudafricana, Roy Bishko, che faceva la coda ogni anno ai saldi di Harrods per comprare cravatte a buon prezzo. Guardandosi intorno, aveva notato quanti uomini volevano la stessa cosa e pensò che un negozio di sole cravatte, vendute a un costo ragionevole, avrebbe avuto successo. Alla fine degli Anni 90 i negozi erano più di 400, anche grazie a un’attenta strategia di marketing. Tie Rack si inventò la cravatta «Glasnost», con bandiere degli Usa e dell’Urss intorno a una colomba, che George Bush senior indossò nel 1989 al vertice di Malta con Gorbaciov.
Ma negli ultimi anni gli affari sono andati sempre peggio, anche dopo la cessione dell’azienda al gruppo italiano Fingen. La realtà, ammettono i gestori di Tie Rack, è che la cravatta ha fatto il suo tempo. Anche il premier Cameron non se la mette più nemmeno quando deve incontrare Obama, e per le strade di Londra è davvero difficile vedere qualcuno che la indossa.
La moda ci ha abituato a improvvisi funerali e ad altrettanto rapide resurrezioni, ma questa volta sembrano non esserci speranze. Per sapere che cosa i giovani pensano della cravatta, basta guardare quei bambini inglesi che sono obbligati a indossarla con l’uniforme scolastica: la portano sulla schiena, o annodata con il più insolente dei nodi, o nascosta dentro la camicia. Le aziende che sono più note ai ragazzi, come Amazon, Google, Microsoft, eBay, hanno liberato da tempo i dipendenti dall’obbligo della cravatta e anche gli uffici più tradizionalisti hanno adottato il «casual Friday», il venerdì in cui ci si può vestire come si vuole.
Se la moda o l’abbigliamento avessero qualcosa di razionale, bisognerebbe ammettere che non ci sono molte ragioni per portare una cravatta e che pochi accessori sono più scomodi. Eppure gli uomini la indossano da quattrocento anni, da quando i mercenari croati di Luigi XIV sfilarono per Parigi con i loro foulard annodati al collo, subito adottati dal re e dalla corte con il nome di «sciarpa croatta», poi sintetizzato in «cravate».
Nel corso dei secoli, la cravatta è diventata il modo migliore per farsi un’idea di una persona quando la si incontra. Se è allentata sul collo, se è troppo corta, se il nodo è malfatto, se non c’entra nulla con il resto dell’abbigliamento - per tacere di quando è sporca - ci comunica una sensazione di disordine e di inaffidabilità, un avviso a essere diffidenti. Sono stati ovviamente gli inglesi a farne il capo più significativo di un uomo elegante.
Quasi tutti i nodi della cravatta hanno nomi inglesi, dal semplice Four In Hand ai sette passaggi del St. Andrew, fino agli otto dell’ingombrante e impossibile Windsor. Negli Anni 20 era considerato un accessorio casual e lo si indossava per giocare a golf, cavalcare o scalare montagne. O per sottolineare l’appartenenza a un club, o a un reparto militare.
Le Regimental a strisce che vanno dalla spalla sinistra al fianco destro possono essere portate con noncuranza ovunque, ma non in Inghilterra, dove sono ancora usate per sottolineare un’appartenenza. Un distintivo preso così sul serio che quando a New York Brooks Brothers decise di imitarle, per rispetto disegnò le strisce dalla spalla destra al fianco sinistro. La cravatta è la più inutile delle cose che portiamo addosso, ma ci mancherà.