Piero Bianucci, La Stampa 21/11/2013, 21 novembre 2013
ACQUA, ARIA, TERRITORIO: LA SITUAZIONE È MIGLIORATA
La tragedia vicina della Sardegna e quella lontana e proporzionalmente ben più grande delle Filippine riportano a un dato certo: nell’atmosfera c’è più energia rispetto al passato e questa energia c’è perché le attività umane stanno modificando il bilancio del pianeta. I gas serra imprigionano la radiazione solare che un tempo veniva restituita allo spazio con l’alternarsi delle stagioni e il ciclo giorno/notte. L’energia accumulata in eccesso genera una forzatura che innesca fenomeni meteorologici estremi con una frequenza un tempo sconosciuta. A ciò spesso in Italia si associa un uso speculativo del territorio. Si costruisce sulle coste e lungo i fiumi, si mette il cemento dove c’erano alberi, si sacrifica al guadagno la sicurezza sul lavoro.
Sotto accusa finisce giustamente la speculazione ma spesso le accuse si estendono all’industria nel suo insieme, alla tecnologia, all’idea stessa di sviluppo. Il passato improvvisamente sembra un’età dell’oro da riconquistare. Eppure all’inizio del Novecento in Italia la speranza di vita era in media di 44 anni, oggi è di 79 per gli uomini e 83 per le donne. Igiene, farmaci, alimenti migliori, elettrodomestici, sanità pubblica, scuola hanno fatto il miracolo. Negli Anni 50 nelle città si respiravano carbone e zolfo. A Torino non vedevamo le montagne, lo smog le nascondeva. I dati dicono che la qualità dell’aria, rispetto a quei tempi, è molto migliorata. Metano e nuove tecnologie produttive sono stati decisivi.
L’Arcadia è un mito letterario. Il passato non è l’età dell’oro. Anzi, spesso è l’età della malattia, degli stenti, della fatica. Ma davanti ai drammi di questi giorni ci si domanda: fino a quando la qualità della vita potrà continuare a crescere? Non è già iniziato il declino?
Qui entrano in collisione due visioni del mondo, due progetti di futuro. Da un lato c’è la filosofia della «decrescita» che ha in Serge Latouche, professore emerito all’Università di Parigi, il suo portabandiera, ma viene da molto più lontano, nelle sue forme più radicali addirittura da un catastrofismo millenarista. Dall’altra parte si schiera l’ottimismo tecnologico di chi confida in soluzioni intelligenti fondate sul concetto di sviluppo sostenibile, elaborato trent’anni fa dallo svedese Kerl-Henrik Robèrt e poi dall’economista Herman Daly.
Chi sostiene la decrescita punta l’attenzione sul fatto che la Terra ha dimensioni e risorse finite, e dunque non è possibile uno sviluppo illimitato. La seconda legge della termodinamica e il concetto fisico di entropia sono i pilastri di questa tesi. Solidissimi. Il tema è stato posto dal Club di Roma di Aurelio Peccei all’inizio degli Anni 70. Allora si parlò di «limiti dello sviluppo». Che però è cosa diversa dalla decrescita. Adeguarsi ai limiti significa utilizzare la rendita della natura senza intaccarne il capitale. E per questa via si ritorna al concetto di sviluppo sostenibile. Purtroppo l’aggettivo sostenibile non funziona nella comunicazione: sa di sforzi incerti e di precarietà. Meglio sarebbe parlare di sviluppo armonico, o equilibrato. In ogni caso, alla base c’è il calcolo dell’«impronta ecologica»: è necessario che ogni attività umana si dimensioni in modo da non superare il confine della natura rinnovabile.
Ma proprio per rispettare questo confine e non intaccare la qualità della vita conquistata è necessario puntare sullo sviluppo tecnologico. La tendenza in atto dice che il futuro è delle tecnologie leggere, che impegnano piccole quantità di materia e grandi quantità di intelligenza. Vanno in questa direzione le nanotecnologie, un settore trasversale che investe meccanica, produzione di energia, informatica, telecomunicazioni, elettronica, medicina, industria farmaceutica, biologia. Tecnologie che ormai possiamo considerare convenzionali come il fotovoltaico e l’eolico indicano la direzione dello sviluppo armonico: nel 2013, secondo il rapporto compilato da Unioncamere e Symbola, la green economy ha creato 216 mila posti di lavoro – il 38 per cento delle nuove assunzioni – e 100 miliardi di fatturato persino nell’Italia della recessione.
Non c’è dubbio che in un pianeta limitato materie prime ed energia non possono crescere all’infinito. Ma i bit – gli atomi della conoscenza – sono immateriali, non pesano, non consumano, non hanno bisogno di imballaggi, né di camion, aerei, Tav. L’informazione – cioè la conoscenza – è solo all’inizio della sua crescita (felice). La scienza accumula informazione, una società intelligente la diffonde, perché sa che la conoscenza più si condivide, più si moltiplica. Vista così, la strada dello sviluppo è ancora lunga.