Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 21 Giovedì calendario

QUANTO COSTA NON ESSERE CREDIBILI


Ciò che colpisce, accanto al numero degli inadempimenti dell’Italia agli obblighi assunti nei confronti dell’Unione europea, è la grande varietà dei campi in cui essi si verificano. Ciò significa che il problema che affligge il nostro Paese è generalizzato e non riguarda questo o quello specifico settore in sofferenza, questo o quel ministero competente.

È quindi lecito domandarsi se non vi sia un problema di fondo nel rapporto tra l’Italia e l’Unione, una certa noncuranza, una certa svogliatezza come atteggiamento generale. Se la lettura delle informazioni fornite ieri dalla Commissione Europea giustificasse una simile conclusione, il commento dovrebbe essere molto amaro. E in effetti l’impressione che se ne ricava è sconsolante. Sconsolante ma non sorprendente.
Anche in altri campi risulta una certa facilità dell’Italia nel sottoscrivere impegni internazionali, salvo poi penare ad adempiere. C’è da chiedersi se, come fanno altri governi, quello italiano segua adeguatamente e preventivamente i lavori preparatori delle varie norme europee. E’ nota la difficoltà in cui, per la mancanza di preventive direttive politiche, si trovano spesso i funzionari italiani che si recano a Bruxelles o a Strasburgo per seguire la preparazione di ciò che diverrà una normativa dell’Unione o una convenzione. In quell’attività, a me è capitato con una certa frequenza, in anni andati, di sentire il collega rappresentante francese o britannico chiedere un rinvio, nel corso della discussione, per l’indiscutibile ragione di «non avere direttive sul punto» e di attendersi di riceverle. Ma una volta ottenuta la direttiva politica ed espresso il voto conseguente, il governo di quel funzionario avrebbe senza discussione o tentennamenti data esecuzione a quanto convenuto, poiché l’accordo era stato raggiunto dopo approfondita valutazione dell’interesse nazionale e della pratica possibilità di adempiere gli obblighi assunti.
Vi sono poi esempi negativi dell’atteggiamento dell’Italia anche fuori dell’ambito dell’Unione Europea. Fin dal 1988 l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura impegnandosi a introdurre tale gravissimo reato nel suo sistema penale. Ma ancora, dopo venticinque anni, non l’ha fatto. Il Comitato europeo contro la tortura l’ha ancora richiamata nel suo rapporto di pochi giorni orsono. Intanto gli atti di tortura che anche in Italia si commettono (in occasione del G8 di Genova, ad esempio) vanno in prescrizione, perché manca una legge che punisca la tortura come tale, con le pene adeguate alla sua gravità. E l’Italia si espone a una ripetuta e grave stigmatizzazione da parte della comunità internazionale.
Naturalmente le carenze e violazioni rispetto agli obblighi internazionali e, più particolarmente, europei non riguardano solo l’Italia. Ma dal comunicato della Commissione Europea risulta che l’Italia, tra tutti i ventotto Stati membri dell’Unione, è quello contro il quale è stato aperto il maggior numero di procedure. E poiché i numeri e le statistiche contano, ed anche le classifiche, essere anche questa volta in testa (o in coda) aggiunge a tutto il resto argomenti di tristezza. In Italia, se non l’opinione pubblica, di questi tempi, almeno il governo non lesina dichiarazioni di fede europea. Ma gli sforzi fatti per adeguarsi ai grandi e severi parametri economici imposti dall’Unione non bastano ad assicurare all’Italia la credibilità generale, come Paese. E la credibilità vale come diversi punti di Pil.