Michela Auriti, Oggi 20/11/2013, 20 novembre 2013
VITTORIA ADESSO SO CHE COS’È LA FELICITÀ
Firenze, novembre
Ha presente quella parola che tanto spaventa, felicità? Beh, io adesso sono proprio felice». E se le chiedessi del suo desiderio più grande? «È un momento incredibile, nel lavoro e nel privato. Continuasse così, ci metterei la firma». Vittoria Puccini vive il suo stato di grazia. A breve sarà Anna Karenina (Rai 1, 2 e 3 dicembre), ed eccola già nei complessi panni di Oriana Fallaci. Un’ascesa professionale, fatta di sfide ardue, che s’accompagna alla maturità nel sentimento dopo i lunghi e tormentati anni con Alessandro Preziosi e la relazione con Claudio Santamaria.
Quel suo sorriso si deve all’incontro, proprio sul set dell’eroina di Tolstoj, con l’uomo che ora cammina al suo fianco. Era novembre 2012. Lui si chiama Fabrizio Lucci, romano, vent’anni più di lei, fino a quel momento libero da legami. Sul favoloso set di Anna Karenina allestito per otto settimane tra Lituania e Lettonia, 110 cavalli, 30 carrozze, 1.200 costumi e neve, neve, neve faceva il suo mestiere: direttore della fotografia. Ma se a Vittoria chiediamo quanto quell’atmosfera romantica abbia contribuito, e anche lo spirito dell’eroina, lei risponde concreta: «Mi sembra di tornare ai tempi di Rivombrosa, quando leggevo che i ciak mi avevano portato l’amore con Alessandro (Preziosi, ndr). A me sembra riduttivo. Non centra Vilnius, non c’entra la neve, non c’entra la Karenina. Quando t’innamori di una persona è perché te ne innamori. Potevamo pure essere a Milano Marittima, il posto e le circostanze non contano».
«ROMPE CON LE CONVENZIONI»
Certo il tema universale messo in pagina da Tolstoj, l’amore declinato nelle sue sfaccettature, è moderno e appassionante. Consente confronti. «Ciò che più mi ha colpito», racconta con enfasi Vittoria, «è il coraggio di Anna nel mettere in discussione tutto, di rompere le dinamiche sociali dell’epoca e un matrimonio subito, senza entusiasmi, per vivere la passione totale con il conte Vronskij. Solo allora scopre cos’è il sentimento e ne intuisce fin da subito le potenzialità devastanti. Quando lui per la prima volta le parla d’amore, si spaventa: “Non usare questa parola”, perché il significato è più alto di quanto si possa immaginare e anche più pericoloso. Certo la Karenina vive a pieno le sue emozioni, si butta senza risparmiarsi». E per lei. Vittoria, quanto conta la passione? Si accende, e la risposta è quasi impensata per una donna dal fascino angelico: «La passione è fondamentale, non può esistere amore che non la preveda e non la contenga. In una storia dev’esserci. passione e dev’esserci pace».
All’inizio Anna, si sente schiava del rapporto senza sospiri col marito. Lei è mai stata schiava d amore? «No, non trovo analogie in questo senso. Ogni volta che ho vissuto un sentimento è perché lo volevo, perché ci credevo, perché ero veramente innamorata. Non mi sono mai ritrovata in un rapporto sterile, che non mi offriva più niente. Ora ho una storia che aumenta le mie sicurezze e non alimenta le mie insicurezze. Questo, secondo me, è il metro per capire se si ha accanto una persona giusta».
Sfuma l’eroina romantica, nel gioco dell’identificazione, e torna Vittoria. Da quel che dice, s’intuisce un percorso affrontato con profitto. È giovane, però ha sperimentato il sentimento in molte delle sue pieghe.
Gli otto anni con Preziosi, tenacemente difesi anche per la loro piccola Elena, e quelle ferite, quei tradimenti ricomposti in nome di un sentire più adulto e consapevole, si stemperano ora in parole mature. «Ho capito che l’amore deve farci star bene», dice, «e non è una banalità. Se fa soffrire, vuol dire che è un amore insano, che la persona non è adatta. E difficile rendersene conto. Però penso che questo sentire sia legato al rispetto di se stessi. Si riesce ad amare, e a farsi amare nel modo giusto, solo quando si ama per prima cosa se stessi».
Nel romanzo di Tolstoj, e nella fiction, la scoperta dei quieti affetti quotidiani appartiene a Kitty e Levin. Mentre chi prova il dolore del tradimento coniugale, come Dolly, sa poi perdonare. «A me è capitato di perdonare e anche di non riuscire a farlo», dice Vittoria. «Ma analizzando la mia esperienza, e quella di persone a me vicine, ho compreso che il punto è fare i conti con se stessi. Quando subisci un torto, che può essere un tradimento come pure una mancanza di rispetto sotto altre forme, bisogna chiedersi una cosa: non perché l’altro si comporta in quel modo, ma perché tu glielo permetti. Se capisci che non è giusto, allora smetti di consentirglielo».
Vittoria, lei ha confessato: «Sono stata innamoratissima di tutti i miei uomini. Passato il momento dello strappo, delle recriminazioni e del dolore, dentro mi rimane solo il bello». Come ci riesce? «Soltanto il fatto d’aver condiviso un sentimento forte, è qualcosa che per me ha un valore positivo. E poi c’è la mia Elena, naturalmente, che mi legherà per sempre al padre. Anna Karenina si allontana dal figlio amatissimo, lo sacrifica per dedicarsi a Vronskij. E questa scelta, alla fine, le costerà la vita. Ecco, io sono sicura al mille per mille che non porrei per niente e per nessuno rinunciare a mia figlia. Anna vorrebbe conciliare l’amore per il suo uomo con quello materno e viscerale, ma non può. Si trova davanti a un bivio. A me non è mai capitato: ho sempre potuto vivere i miei sentimenti, assieme alla vicinanza con Elena». Così si descrive nel suo ruolo più appagante, «quello che mi ha centrata»: «Benché io sia un po’ ansiosa, con mia figlia non lo sono mai stata. Ho sempre vissuto la maternità come la cosa più naturale del mondo, senza avvertire il senso di sacrificio. Tutto quello che faccio con lei e per lei è istintivo e mi provoca unicamente piacere. Questo non significa che io mi annulli, perché non sarebbe giusto. Penso che i figli stiano bene se quella è la condizione dei genitori. Perciò non bisogna rinunciare alla propria felicità. Certo trovo moderno il tema di Tolstoj, che racconta una donna capace di separarsi dal proprio bambino per vivere il sogno romantico. Una madre assente da scandalo, un padre invece no».
«NON SONO UN TIPO CHE PIANIFICA»
Viene da chiederle se c’è desiderio di un altro figlio. «In questo momento non è una cosa a cui penso. Non sono una che pianifica». E il matrimonio? «Ma no, boh, figuriamoci».
Vittoria dice che nella sua crescita, e all’abbandono di certe insicurezze, molto ha contribuito il lavoro. Continuando nel gioco dei parallelismi, la Karenina alla fine è dilaniata dai sensi di colpa. «Ogni donna li combatte quotidianamente», dice, «e anch’io li ho conosciuti molto bene. Sono qualcosa di pericoloso, perché possono condizionare e indurre a scelte sbagliate. Quando in un rapporto si comincia con l’addossarsi le responsabilità, vuol dire che qualcosa non funziona più o che quelle due persone non sono fatte l’una per l’altra. Non si tratta di colpe». Dunque c’è un manuale sentimentale, un pensiero che vale per tutte noi? Risponde d’istinto: «Non bisognerebbe mai rinunciare all’amore e a darsene la possibilità. Quello che più mi fa paura è il disincanto, l’accontentarsi. Dire: “Vabbè, rimango anche se non sono innamorato e perché potrebbe non capitarmi più”. Io non ci riuscirei e in questo condivido la scelta della Karenina, che si abbandona alla passione». E se l’amore fa male? «L’amore ritorna. Anche dopo il dolore, non ho mai avuto pensieri del tipo “non amerò più, la mia vita è finita”. Mai provato sentimenti di chiusura. Se poi hai una figlia, proteggendo lei proteggi anche te stessa dagli eccessi della sofferenza. Comunque, il mio è un carattere positivo». E lo sottolinea con un sorriso pieno, dal cuore. Perché «quella parola che tanto spaventa, felicità», oggi è il metro del suo stare al mondo.