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 2013  novembre 21 Giovedì calendario

I NARCOS E IL BUSINESS DELL’ORRORE

«Sono tanti e sono pri­vi di organi. Quanti? Il numero esatto si potrà dire solo quando saranno terminate le esumazioni. Le au­torità per ora vogliono tenere il riserbo. Posso dire che, però, sono un numero sufficiente a riempire tre cimiteri clandesti­ni. Tutti nella zona di Mitla».
Mitla, l’antica Mictlán, è un vil­laggio di origine preispanica si­tuato nelle Valli centrali del­l’Oaxaca, nel Sud del Messico. In lingua atzeca, il nome signi­fica “luogo dove riposano i de­funti ». Non quelli, però, uccisi in battaglia o in un sacrificio, dunque, per la cultura dell’e­poca, degni di minor onore, a­nonimi. Una crudele ironia.
I morti di cui parla padre A­lejandro Solalinde Guerra sono meno di anonimi. «Sono nes­suno. Migranti centroamerica­ni che attraversano il Messico senza documenti per raggiun­gere gli Usa. I gruppi criminali, ormai padroni di ampie regio­ni, li considerano una preda. Da cui ricavare denaro. Come? Li rapiscono e chiedono il riscat­to ai parenti negli Stati Uniti, li costringono a lavorare per lo­ro, li rivendono nel mercato del sesso. O degli organi, come sta­volta », racconta ad Avvenire il sacerdote, direttore della casa­rifugio Hermanos en el Cami­no, tra i più noti attivisti per i diritti umani a livello interna­zionale.
Le sue parole hanno il peso di un macigno. «I cadaveri sco­perti nelle fosse comuni di Mi­tla hanno subito ripetuti e­spianti. Alcuni non hanno più alcuno degli organi trapianta­bili. Hanno preso le parti che gli occorrevano e hanno getta­to il resto. È una tragedia im­mane. È uno scandalo enor­me ». Anche perché dimostra quanto siano solide le multinazionali del crimine create dai narcos messicani e stabili i loro ag­ganci all’interno dell’apparato statale. Portare avanti un traffi­co di organi su vasta scala – tan­to da colmare cimiteri clande­stini con i corpi – implica la disponi­bilità di medici e o­spedali compia­centi. Risorse e manodopera, del resto, non manca­no ai narcos: la commissione par­lamentare sulla delinquenza ha appena rivela­to che il loro “libro paga” inclu­de mezzo milione di messicani, il triplo del gigante petrolifero Pemex. Se non bastasse, sette attività economiche su dieci hanno legami coi narcos. Che possono agevolmente traffica­re qualunque co­sa. Già nel 2007 padre Solalinde aveva denuncia­to il business di organi. «Ho in­contrato un mi­grante brasilia­no, sopravvissu­to all’asportazio­ne di un rene. Non è stato l’u­nico. Nelle discariche della ca­pitale spesso vengono trovati centroamericani senza occhi o stomaco». Alla sua voce si era­no unite quella delle altre de­cine di sacerdoti che lavorano coi migranti. Nessuno sa quanti di loro ogni anno ven­gono ingoiati nel buco nero messicano.
Partono da Salvador, Honduras, Guatemala e Nicaragua in po­co meno di mezzo milione. La Chiesa e la Commissione na­zionale per i diritti umani han­no registrato ventimila rapi­menti da parte del crimine or­ganizzato. Il numero reale, però, è infinitamente superio­re: la Procura generale si è sem­pre rifiutata finora di fornire un bilancio. La settimana scorsa, al confine tra Jalisco e Tamau­lipas è stata scoperta un’enne­sima fossa comune dentro c’e­rano 16 corpi. Anche stavolta – dicono fonti locali – con segni di espianti.
Eppure per il governo messica­no, il traffico d’organi non esi­ste. Lo hanno detto nel 2010, la responsabile dell’Unità investi­gativa per il traffico di minori, migranti e organi, Guillermina Cabrera e il direttore del Centro nazionale trapianti, Arturo Dib Kuri. Del resto, negli ultimi sei anni, le denunce arrivate alla Procura sono state appena 36 e di queste, solo 4 sono andate a­vanti. Gli attivisti e i media in­dipendenti raccontano, però, un’altra realtà. Tra il 2011 e il 2012 una serie di scandali per trapianti quantomeno sospet­ti hanno travolto le cliniche del­­l’Istituto messicano per la sicu­rezza sociale nella capitale e a Puebla. All’ospedale civile di Guadalajara e in varie struttu­re private del Jalisco è stata comprovata la vendita di orga­ni online. Fonti locali hanno raccontato ad Avvenire di cen­tri per le asportazioni a Città del Messico, Veracruz, e Tabasco. Là un rene o un fegato costano sui 100mila dollari. Tra febbraio e marzo 2012, cadaveri di mi­granti con segni di espianti so­no comparsi nelle discariche di Ciudad Victoria, Tapatitlán, Hi­dalgo, Puebla e Veracruz. Poco dopo, ad aprile, dieci corpi mu­tilati e senza organi di adole­scenti centroamericani sono stati trovati in una casa a Boca del Rio, vicino a Veracruz. I due reporter che indagavano sulla vicenda, Gabriel Huge e Guil­lermo Luna, sono stati assassi­nati. Le indagini sono ferme.
Eppure, diventa sempre più dif­ficile ignorare il macabro busi­ness. Lo scorso aprile, la presi­dente della Commissione per la lotta alla tratta, Leticia López Landero ha detto che il traffico d’organi di migranti irregolari è aumentato esponenzialmen­te in Messico. E l’Organizzazio­ne internazionale per le migra­zioni (Oim) ha deciso di avvia­re un’indagine sulla questione in tutta l’America centrale dal 2014. Allora anche l’inchiesta su Mitla – aperta grazie alle pressioni di padre Solalinde – sarà finita. Solo la scoperta dei corpi di 72 centroamericani in Tamaulipas, nell’agosto 2010, ha fatto ammettere alle auto­rità i sequestri di migranti. Ora i cadaveri mutilati di Mitla co­stringeranno il Messico ad a­prire gli occhi su questo nuovo orrore? «Sui cadaveri i segni di ripetuti espianti. Hanno preso le parti che servivano e gettato il resto».