Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 20/11/2013, 20 novembre 2013
IL PD È NATO MALE E VIVE PEGGIO
[Riccardo Barenghi]
La Jena sarà pure una caustica osservatrice della politica italiana, capace di condensare in un rigo, poche decine di lettere, un passaggio politico, un rovesciamento partitico, unA leadership morente, ma Riccardo Barenghi, romano, classe 1957, giornalista de La Stampa dopo tanti anni al Manifesto, resta comunque un uomo di sinistra. Uno appassionato, uno che, per quante ne abbia viste, ci crede ancora. Giusto chiedergli cosa succederà a sinistra, dopo questa prima vittoria di Matteo Renzi al congresso piddino e in vista della seconda, quella dei gazebo. Se cioè questi toni grevi, arrivati dalla sinistra Pd, talvolta inaciditi dal lessico ridotto di Twitter, porteranno quello che sembrano promettere e cioè una scissione.
Domanda. Barenghi stavolta ci siamo davvero, almeno a leggere certe chiose dure contro il vincitore Renzi: stavolta il Pd si spacca davvero...
Risposta. Sarebbe stato meglio che questo partito non fosse nato. Lo scrissi all’epoca, sul Manifesto, l’ho pensato e lo penso: sarebbe stato meglio farne due, un partito di centro-centrosinistra e uno di sinistra, anche moderata. Che era un po’ il dibattito sviluppatosi quando Sergio Cofferati accarezzava questo progetto assieme ad alcuni di Rifondazione comunista. Ne sono convinto anche oggi: due partiti, separati e alleati, avrebbero fatto meglio.
D. Sì, ma adesso?
R. Adesso, si può riproporre il problema. Vediamo quanto prende Renzi ai gazebo, l’8 dicembre, con le primarie. Ma insomma il Pd di Renzi si potrebbe prestare a quella battuta che Enrico Berlinguer usò per il Psi di Bettino Craxi...
D. Me la ricordi...
R. Disse che il partito socialista stava andando soggetto «a una mutazione antropologica». Ora, il Pd non la subisce oggi, diciamo che s’è mutato da solo e da tempo, ma è vero che questo processo, con Renzi, subisce un’accelerazione forte, difficile pure da definire...
D. Proviamoci...
R. No, non mi viene. Sicuramente è lontana da una tradizione, peraltro già ampiamente rinnovata, del Pds o dei Ds. Ma Renzi, però, non è neppure Margherita in quanto tale: è generazione Twitter e Facebook trasferita in politica. Frasi a effetto, battute. Insomma, aspetto di vedere qualche proposta di sostanza.
D. Insomma l’idea di una divisione non sta sulla luna, ammettiamolo pure...
R. Potrebbe essere un’idea mica male, anche se le scissioni, come dimostra la storia politica italiana, sono complicate. Però, avere due partiti, uno di Renzi, e uno di Gianni Cuperlo o chi per lui, che raccolga anche Sel per quello che gli rimane, un po’ di Pippo Civati e un po’ di Gianni Pittella, perché no? Anche se faccio i nomi giusto per individuare le diverse sensibilità, ché i partiti personali e anche le correnti mi stanno antipatici. Insomma un partito che, a sinistra, metta insieme tutto il mondo che si riconosce ancora in quella tradizione.
D. Quanto stiamo facendo fantapolitica, Barenghi?
R. Molto, anche perché credo che, alla fine, non lo faranno. Ma potrebbero prendere più voti divisi, che non insieme. Come dimostrerebbe anche l’ultimo sondaggio del Nuovo centro destra di Angelino Alfano: separati, di là, sono più forti che uniti. D’altra parte la controprova storica ci sarebbe pure...
D. E quale?
R. Quella di quando socialisti di Pietro Nenni e socialdemocratici di Giuseppe Saragat si unirono: fu un flop elettorale terribile, non ebbero neppure la somma dei propri voti.
D. Il Partito socialista unitario-Psu, un disastro in effetti. Ma per tornare all’oggi, non è che quella cosa che lei ha chiamato i socialnetwork trasferiti alla politica sia, alla fine, l’unico vero Pd possibile oggi?
R. Il Pd che pensava Walter Veltroni, nonostante avesse qualche affinità con Renzi, era diverso: un’altra storia politica alle spalle e un’altra cultura. Qui si parte più o meno da zero. No, sono sempre più convinto: il Pd è nato male. La sua storia lo dimostra: dall’amalgama malriuscito, come l’aveva definito Massimo D’Alema, sono usciti tanti problemi. L’ultimo, i 101 che hanno abbattuto Romano Prodi alle ultime elezioni per il Colle, una vicenda che ha portato lo stesso Prodi a non votare alle primarie.
D. A proposito di D’Alema, la sua impuntatura antirenziana degli ultimi giorni, secondo alcuni, avrebbe regalato consensi al sindaco, ci crede? Tutto quell’insistere sul «segretario-dattilografo», sull’«ignoranza» avrebbe portato fieno alla cascina di Renzi.
R. D’Alema è D’Alema: non è che si possono uccidere gli avversari politici. É uno che ha fatto i suoi sbagli, per carità. Io gliene addebiterei una sfilza, dalla Bicamerale alla presidenza del consiglio fatta in quel modo, alla guerra in Kosovo. Però, non neghiamolo, è stato anche un riferimento politico e culturale per 20-25 anni. Non si cancella. Quando sento parlare D’Alema e Renzi, sto sempre col primo, in genere. Sarò un cretino...
D. Quella storia ha pesato però in negativo?
R. Quella storia lì ha dato una mano a Cuperlo. E poi non dimentichiamoci che D’Alema è stato il primo storico rottamato da Renzi. E che pretendiamo?
D. C’era stato un avvicinamento, un po’ di blandizie forse...
R. Ma sì, c’era stato. C’era stato anche un consiglio, dato forse in maniera interessata, di lasciare perdere la segreteria. Renzi aveva detto di no. Ma secondo me aveva ragione D’Alema.
D. Dice?
R. Renzi non sa nemmeno cosa significhi fare il segretario mentre, per come è fatto, per come si porge, saprebbe fare il candidato premier.
D. E lui, Renzi, che farà, una volta al Nazareno? Sempre che vinca. Anzi, secondo lei, potrebbe anche perdere, coalizzando tutti contro?
R. Nooo, certo che vince, non ci sono dubbi.
D. Ecco. Dunque, Renzi vincitore comincerà a bombardare Palazzo Chigi già dal 9 dicembre, il giorno successivo al voto delle primarie, come sostiene qualcuno?
R. Insomma, stare un anno e mezzo a bagnomaria, non è che lo rafforzi, tutt’altro. Credo che vorrà battere il ferro finché caldo e andare a marzo alle elezioni per lui sarebbe perfetto. Certo, non lo farà a gamba tesa ma si muoverà con cautela.
D. La Jena, sull’affollarsi di renziani last minute sul carro di Renzi, s’è già esercitata, ma non è che certi iperbolici commenti dei neorenziani in questi giorni, l’hanno solleticata ancora?
R. Salire sul carro vincitore, dal fascismo in poi, è un orrendo costume italiano. In questo senso l’unico che non sale sul carro altrui è proprio D’Alema, che aspetta sul suo che gli altri salgano. In questo ha una sua coerenza. Gli altri, quelli come Dario Franceschini, pensano che Renzi sia il futuro, che abbia vinto e, come si dice in politichese, si riposizionano. Cercano un posto al sole, per sé e per la corrente, che si traduce in posti in Parlamento, posti alle regionali, posti di qua o di là. Solo un gioco di potere.
D. Che sarebbe l’esatto contrario della politica affermata Renzi...
R. Sì, di quella affermata. Poi nella prassi, la corrente ce l’ha anche lui, eh. Quello è «renziano», quell’altro «renziano», quell’altro ancora pure: più che una corrente, una falange macedone. E che cosa sono, se non una corrente? Un circolo del tennis, del biliardo? Che cosa sono?
D. Insomma le correnti non passeranno...
R. Non le abolirà nessuno, tantomeno Renzi. E come fa? No, resto convinto, questo Pd abbia fatto il suo tempo, si desse un’altra prospettiva, non può procedere così, per forza di inerzia. Anche perché, come diceva Marx, la storia si ripete sempre due volte, una volta come tragedia, la seconda come farsa.