Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 20/11/2013, 20 novembre 2013
700 MILIONI REGALATI ALLE BANCHE PAGA LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI
Mentre Enrico Letta e il ministro del Tesoro annunciano grandi piani di privatizzazioni, prosegue il ritorno del capitalismo di Stato a opera della Cassa depositi e prestiti: il Fondo strategico italiano, controllato dalla Cdp, sta per comprare la Sia, Società interbancaria per l’automazione, coinvolgendo anche il fondo F2i, di Vito Gamberale. Esultano gli azionisti pronti alla vendita, cioè le principali banche italiane, da Intesa (30,6 per cento del capitale) a Unicredit (24,1) a Monte Paschi (5,8) e Bnl (4,5). Un affare da 700 milioni di euro, tanto sarebbe valutata la società, che allieterà le casse delle banche e darà ai loro azionisti maggiori possibilità di ricevere qualche dividendo. E chi sono gli azionisti delle banche venditrici? Sorpresa: quelle Fondazioni bancarie che possiedono il 18,4 per cento della Cassa depositi e prestiti e della quale esprimono il presidente, Frano Bassanini. Semplificando un po’: le Fondazioni fanno in modo che parte dei soldi che i risparmiatori postali hanno affidato alla Cdp finiscano alle banche che poi li gireranno alle stesse fondazioni. Un disegno certificato dal presidente del-l’Acri, l’associazione che raggruppa le Fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, che poche settimane fa ha detto “io sono ottimista” a chi gli chiedeva se aspettava dividendi dalle banche dopo anni di magra (nel 2012 sono scesi da 1,1 miliardi a 750 milioni).
L’OTTIMISMO viene rinfrancato dall’operazione Sia, rivelata ieri da Fabio Tamburini sul Corriere della Sera e che ha ispirato subito uno sdegnato editoriale dell’economista bocconiano Francesco Giavazzi. Indignarsi è lecito, stupirsi meno. Con l’occasione (la scusa?) dell’imminente esame della Bce sui bilanci delle banche italiane, il governo si sta profondendo in una serie di interventi che rafforzino il patrimonio dei grandi istituti di credito senza chiedere però agli azionisti di apportare risorse fresche: dalla rivalutazione delle quote del capitale di Banca d’Italia in mano alle banche (l’istituto di vigilanza passerà da valere 156.00 euro a una cifra tra 5 e 7,5 miliardi, con effetto taumaturgico sui bilanci bancari), al beneficio fiscale che permetterà di dedurre le perdite su crediti in cinque anni invece che in 18. Un regalo da quasi 20 miliardi in sette anni, stimano le associazioni dei consumatori Adusbef e Federconsumatori. E si discute anche di un piano di garanzie pubbliche per i nuovi prestiti a famiglie e imprese.
Che le banche stiano incassando parecchio sostegno con il governo Letta, dunque, è palese. Così come ormai è chiaro che il Fondo strategico (77 per cento Cdp, 2,3 Fintecna, cioè sempre Cdp, 20 Banca d’Italia) guidato da Maurizio Tamagnini sta dando un’interpretazione estesa del proprio mandato, cioè acquistare quote “prevalentemente di minoranza in imprese di rilevante interesse nazionale, che siano in equilibrio economico-finanziario e presentino adeguate prospettive di redditività e sviluppo”. Mantenere in mani italiane aziende strategiche (lo dice il nome) e sane. Per la Sia la motivazione sarebbe questa: la società gestisce i sistemi di pagamento, le banche azioniste volevano vendere e tra i potenziali compratori c’erano anche gli americani Mastercard e Cerberus. Quindi il Fondo può dire di intervenire per evitare che gli americani abbiano in mano una parte dell’infrastruttura del sistema bancario. Il potenziale danno all’interesse nazionale è tutto da dimostrare, il beneficio per le banche invece è certo.
A PARTE METROWEB, banda larga, gli altri investimenti non sembrano proprio imprescindibili per gli interessi strategici del Paese: 150 milioni in una società di derivati del sangue, Kedrion, 884 milioni in Generali (partecipazione ereditata dalla Banca d’Italia), una joint venture da 150 milioni col Qatar per il Made in Italy, e 108 milioni in Hera, ex municipalizzata di energia e rifiuti dell’Emilia Romagna. Finora l’operazione più discussa è quella su Ansaldo Energia. Il Fondo strategico ha comprato da Finmeccanica (cioè sempre dallo Stato) e dal fondo americano First Reserve che, incassando 387 milioni per il suo 45 per cento, realizza una plusvalenza del 72 per cento. Il Fondo strategico dovrebbe poi rivendere la società ad altri compratori, vedremo a che prezzo. Chissà se anche il contribuente italiano avrà una plusvalenza.