Alberto Quadrio Curzio, Il Sole 24 Ore 20/11/2013, 20 novembre 2013
COME ABBATTERE IL DEBITO IN 4 MOSSE
La ripresa delle vendite di partecipazioni azionarie e di beni immobili dello Stato e di Enti locali pare certa. Per evitare di farlo per dogmi liberisti, consideriamo le finalità e le strategie anche per il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti. La stessa è un’azienda privata di mercato pur essendo posseduta dallo Stato all’80% e perciò è sbagliato dire che cessioni di partecipazioni alla Cdp non sono privatizzazioni o addirittura dire che sono mere partite di giro a carico del contribuente. Lo conferma anche il fatto che sono considerate privatizzazioni le vendite di asset pubblici alla Cdp tedesca (KfW), detenuta al 100% dallo Stato ma considerata una "market Unit" (come la nostra Cdp) dalle Istituzioni Comunitarie. Per questo né la Cdp né la KfW sono consolidate dentro i debiti pubblici. Sono temi sui quali ci siamo spesso intrattenuti su queste colonne anche in relazione alle infrastrutture.
Finalità: tagliare il debito. Le privatizzazioni dovrebbero contribuire alla riduzione del nostro debito pubblico giunto a 2.000 miliardi di euro con un onere di interessi che nel 2013 si aggira sugli 84 miliardi. Considerato che l’Italia ha privatizzato partecipazioni societarie per 157 miliardi dal 1985 al 2012 compresi, con un massimo annuo nel 1999 di 25,07 miliardi, è chiaro che questa finalità da sola non basta. Dal 2006 al 2012 le privatizzazioni italiane sono scese a 9,5 miliardi più i 10 miliardi derivanti dalla vendita di Sace, Fintecna e Simest a Cdp nel 2012.
La Ue nel 2012 e nel primo semestre 2013 ha privatizzato in proporzione meno di noi: solo 28,5 miliardi di euro pari al 19,9% che è meno della metà della quota europea di lungo periodo su quella mondiale (come certificano le analisi della Fondazione Eni-Mattei e della Kpmg).
La Ue sconta dunque una scarsa attrattività/disponibilità di capitali causata dalla recessione europea. Quindi il tema delle privatizzazioni dovrebbe entrare nell’agenda di politica economica della Ue che senza crescita potrà svendere più che privatizzare.
Diverso è il tema delle migliaia piccole-medie imprese italiane di servizi pubblici locali. Qui ci sono spazi notevoli sia per privatizzare che per gestire in modo più efficiente perché i capitali richiesti sono minori e quindi ci sono più potenziali acquirenti e perché troppo spesso le stesse sono appannaggio di ceti politici locali. Su queste colonne Alberto Orioli ha parlato di una "multinazionale della partitocrazia " e di "socialismo municipale".
Per la riduzione del debito pubblico cruciale è inoltre la vendita del patrimonio immobiliare pubblico (purchè non espressione dell’identità italiana e non funzionale all’esercizio di servizi pubblici) che è stimato a valori di mercato 2011 tra i 239 e i 319 miliardi (di cui un 27% vendibile) a cui vanno aggiunti terreni tra i 19 e i 49 miliardi. Il fatto che questi beni siano di singole minori entità rispetto alle partecipazioni rende più urgente la loro vendita perché essi si deteriorano e talvolta vengono sfruttati abusivamente. Per venderli bisogna valorizzarli tramite i fondi di investimento dedicati come Invimit Sgr detenuto al 100% dal Mef, come Fiv plus e Fia (per l’edilizia privata sociale dove ci sono enormi necessità) della Cdp. Il fatto che gran parte dei beni sia degli enti locali non impedisce di ridurre, con la loro vendita, deficit e debiti.
Infine sulla riduzione del debito molto conterà l’esito della spending review sulla quale il Commissiario Cottarelli in poco tempo ha già presentato un primo un programma da 32 miliardi di risparmi in tre anni.
Strategie: favorire la crescita. In premessa ricordiamo che il debito su Pil cala (anche) con la crescita del Pil e smettiamola di dire che le imprese controllate dallo Stato o dalla Cdp vanno male perché "pubbliche" mentre quelle "private" vanno bene. Basti il solo confronto tra Eni e Telecom che potrebbe estendersi a molti altri casi da cui risulta che i managers bravi si valutano sulle strategie e i successi aziendali. In Italia molti managers "pubblici" bravi sono rimasti al loro posto anche nei cambi di Governo. In varie grandi imprese è poi essenziale un nucleo stabile di azionisti che sostengono piani industriali e investimenti di lungo termine a fini strategici per la crescita del nostro sistema Paese. Da ciò dipende anche la realizzazione di infrastrutture e il sostegno ad un tessuto industriale Pmi.
Oggi si dice che il Governo, per avere un maggior flusso di dividendi straordinari una tantum (con conseguente diminuzione di quelli, non piccoli, incassati regolarmente e che riducono il deficit), farà vendere a Cdp quote di Sace, Fincantieri, Snam, Terna, Eni. A sua volta il Mef venderebbe quote di Stm, Poste, Ferrovie ed altro ancora. Operazioni di tale rilievo richiedono un programma strategico che per ora il Governo non ha presentato. Bisognerebbe inoltre considerare alternative di collaborazione con altre grandi aziende europee che può passare proprio attraverso le Cdp che da tempo cooperano. In particolare, la nostra Cdp (la cui rilevanza è anche dimostrata dalla nomina di Bassanini a vice presidente della federazione delle Casse e delle Banche europee a loro assimilabili) deve potenziare molto "Cdp Reti" includendovi la sua partecipazione in Terna ed in Snam e, speriamo, la rete di Telecom (a quando la fibra ottica su tutto il territorio nazionale?!) e quella ferroviaria. Cioè tutte le grandi reti materiali (dove non includeremmo però la Società Interbancaria per l’automazione, Sia) su cui investire anche cedendo ad altri investitori privati quote della Cdp Reti senza che Cdp ne perda il controllo necessario per impostare ed attuare una strategia italiana anche nei grandi progetti di Europa 2020.