Danilo Taino, Corriere della Sera 20/11/2013, 20 novembre 2013
LA PIOGGIA DI LIQUIDITÀ SUI MERCATI CHE NON HA ARRICCHITO LE FAMIGLIE
Se Ben Bernanke — il presidente della Federal Reserve, la banca centrale americana — producesse pomodori e li mettesse sul mercato in quantità sempre maggiori, raccoglierebbe l’applauso dei pizzaioli, che li pagherebbero meno, e i fischi dei concorrenti, che vedrebbero i prezzi crollare. Dal momento che però il banchiere centrale più potente del mondo — ma come lui Mario Draghi in Europa, Haruhiko Kuroda in Giappone, Mark Carney in Gran Bretagna — tratta un’entità pervasiva come il denaro, gli effetti della sua attività sono molto più complessi. Soprattutto, enormemente maggiori: negli scorsi cinque anni, le politiche monetarie iper-espansive intraprese per rispondere alla crisi del 2008 hanno penalizzato le famiglie, aiutato i governi a pagare i debiti, avvantaggiato le banche americane rispetto a quelle europee, messo in difficoltà le compagnie di assicurazione.
Prima di tutto, dunque, un evviva per i banchieri centrali: hanno evitato che la crisi finanziaria fosse più devastante di quel che è stata. Poi, però, occorre calcolare le conseguenze provocate da anni di denaro facile: lo ha fatto il McKinsey Global Institute, con risultati di estremo interesse.
Per rispondere al crollo della Lehman Brothers, nell’autunno 2008, al conseguente caos sui mercati finanziari e alla recessione che ne è seguita, la Fed, la Banca centrale europea (Bce), la Banca d’Inghilterra (BoE) e la Banca del Giappone (BoJ) hanno abbattuto i tassi d’interesse e hanno via via immesso liquidità e credito sui mercati, allo scopo di sostenerli e di non ridurre a zero il flusso di denaro verso l’economia. Ognuna in diverse forme: per esempio la Fed, la BoJ e la BoE hanno comprato (le prime due ancora comprano) titoli sui mercati; la Bce ha prestato denaro a tasso zero alle banche dell’Eurozona. Il risultato è che i bilanci di queste quattro banche si sono espansi, dal 2007 alla metà del 2013, di 4.700 miliardi di dollari: tanto quanto i Prodotti lordi annui di Francia e Gran Bretagna sommati, nota McKinsey. Alla metà di quest’anno, il bilancio della Fed era di 3.500 miliardi di dollari, quello della Bce di 2.400, quello della BoJ di 1.900, quello della BoE di 600. Questa espansione monetaria ha provocato una caduta dei tassi d’interesse di mercato e un effetto di redistribuzione della ricchezza: ha ridotto sostanzialmente il costo per chi aveva debiti e il rendimento per chi possedeva crediti, obbligazioni.
Tra i maggiori beneficiari, gli Stati, che hanno visto scendere il costo del debito e aumentare i dividendi che le banche centrali hanno potuto versare loro grazie all’incremento dell’attività. McKinsey calcola che il beneficio sia stato, tra il 2007 e il 2012, di un po’ più di mille miliardi di dollari per Washington, di 170 miliardi per Londra e di 365 miliardi per i Paesi dell’area euro (nonostante qui vi siano state differenze, in particolare tassi più alti in Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia). Nelle tre aree, circa 1.600 miliardi di dollari. In parallelo, sempre nelle tre regioni, le famiglie hanno perso, in conseguenza delle politiche monetarie espansive, 630 miliardi di redditi da interessi netti. Le famiglie più giovani hanno beneficiato dei tassi bassi — perché spesso indebitate — mentre quelle meno giovani ne hanno sofferto, in misura maggiore, perché con redditi legati ai tassi. Le imprese (non finanziarie) sono state avvantaggiate dal basso costo del debito per 710 miliardi di dollari.
Lo studio dice anche che negli Stati Uniti e nel Regno Unito i prezzi delle case sono oggi del 15% più alti di quanto non lo sarebbero stati se le rispettive banche centrali non avessero effettuato politiche monetarie non convenzionali. Mentre sostiene di non avere trovato risultati conclusivi su una possibile correlazione tra queste politiche e i prezzi delle Borse: alcune (Wall Street in testa) sono ai massimi storici, spinte dalla massa di liquidità in circolazione, ma non è detto che questi livelli resistano nel tempo. Le banche europee, sempre nel periodo 2007-2012 e a causa dei tassi bassi, hanno perso 230 miliardi di dollari mentre quelle americane sono state avvantaggiate per 150 miliardi. Le compagnie di assicurazione, infine, soprattutto in Europa, hanno visto scendere i rendimenti dei titoli pubblici in cui hanno investito al di sotto dei rendimenti che garantiscono ai loro clienti: se la tendenza continua, dice lo studio, «molti di questi assicuratori sarebbero minacciati nella sopravvivenza». Problema acuto soprattutto in Germania, dove i rendimenti garantiti dell’1,75% sono già superiori a quelli del Bund decennale, attorno all’1,55%: una delle spiegazioni delle proteste tedesche contro il taglio dei tassi effettuato dalla Bce una settimana fa.
I banchieri centrali, insomma, sono i veri potenti del momento: non solo salvano il mondo, redistribuiscono anche il reddito. Ma non per sempre. Il problema verrà quando le politiche iper-espansive dovranno cessare, come di sicuro dovrà accadere: turbolenze certe, pizzaioli arrabbiati.
@danilotaino