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 2013  novembre 20 Mercoledì calendario

LA DOPPIA VITA DI ARLECCHINO


[Antonio Latella]

Chapeau per il coraggio di mettere in scena una commedia di Goldoni che da oltre sessant’anni è applaudita in tutto il mondo legata al nome di Giorgio Strehler, del Piccolo Teatro e di Ferruccio Soleri l’attore che a 84 anni dopo mezzo secolo ancora interpreta il personaggio protagonista. Ma l’ardire, ad Antonio Latella, non manca: campano di Castellammare di Stabia, 46enne, ex-attore, regista dall’aria paciosa e pericolosa, anni fa mise in scena in Germania, dove è molto amato, uno spettacolo sull’Italia berlusconiana. Titolo: Mamma Mafia e il mese scorso ha messo in scena le 900 e passa pagine sul nazismo di Le benevole di Littell con gli attori della Shauspielhaus di Vienna realizzando uno degli spettacoli più belli visti finora in stagione. Ora, con Il servitore di due padroni “da” Goldoni, al Bonci di Cesena da domani e poi in tournée, prodotto da Emilia RomagnaTeatro, Metastasio e Stabile del Veneto, si mette in concorrenza diretta con lo stracult del teatro italiano, l’Arlecchino servitore di due padroni nella versione-capolavoro di Strehler, e lo fa con gusto iconoclasta. Abito bianco, non patchwork, per Arlecchino che si chiamerà Truffaldino come nell’originale, l’italiano e non il dialetto veneziano come lingua, l’ambientazione contemporanea (siamo in hotel di provincia) e il disvelamento di ambigue geometrie relazionali tra i personaggi, a partire dall’incesto tra Beatrice e il fratello faranno del Servitore di Latella un’inquietante mescolanza di commedia e dramma borghese, di antico e quotidiano, di normale e scandaloso. «Sono entrato nel lato oscuro, buio del testo di Goldoni. Il quale comincia dicendo subito che c’è una ragazza strana, Beatrice, che si veste in pantaloni e ama suo fratello — spiega Latella — Ecco, io sono partito da lì, da questa storia piena di ambiguità di genere riscrivendo l’originale di Goldoni insieme a Ken Ponzio, un drammaturgo che ha la mia età, ex-attore che sa come usare le parole, perché per attraversare l’anima nera di Goldoni ci vuole una lingua senza fiocchi».
Dell’Arlecchino solare di Strehler non c’è più traccia?
«Qualche citazione. Ma con tutto il rispetto per i maestri non puoi pensare che un testo non si possa mai più fare perché lo ha fatto Strehler quasi 70 anni fa. Ho un profondo rispetto per lui e per Paolo Grassi: hanno cambiato la storia del teatro. E così per Marcello Moretti e Ferruccio Soleri, i due storici Arlecchini. Io non voglio uccidere il loro lavoro, semmai resuscitarlo, come aveva fatto Massimo Castri, altro mio maestro, che con i Rusteghi o la Trilogia della villeggiatura mostrava quanto dolore e orrore c’è nella borghesia goldoniana. E quanto questo sia vicino a noi».
Un Servitore crudele, dunque?
«La crudeltà è la mercificazione dei sentimenti, che c’era in Goldoni come c’è oggi. In questa commedia, ognuno è al servizio di qualcosa o di qualcuno, l’amore è continuamente contaminato da interessi, bugie, travestimenti, qualcosa che oggi conosciamo bene».
Perché lei insiste sull’incesto?
«Ne parla Goldoni. Anzi, l’unico vero amore è quello di Beatrice per il fratello. Morto, sì, ma alla fine ci sarà una sorpresa che in Goldoni non c’è».
E Arlecchino, tolta la maschera consueta, chi è?
«La sorpresa riguarderà proprio lui. Arlecchino, che in scena è Roberto Latini diventa uno dei tanti, anche lui nel gioco delle relazioni. Tolta la maschera, è uno in cerca di un’identità. Arlecchino è colui che, dicendo sempre la verità, alle orecchie degli altri appare come un mentitore. In questo aveva ragione Strehler: Arlecchino è il teatro, la finzione che dice la verità».
Il suo spettacolo in marzo sarà a Milano al Puccini, non al Piccolo. Le sarebbe piaciuto?
«Sarebbe stato essere meravigliosamente liberi programmarli insieme. Pazienza. È già una vittoria essere riuscito, in un contesto istituzionale come quello della nostra produzione, coinvolgere la miglior generazione di attori tra i 40 e 50 anni, artisti come Latini, Federica Fracassi, Massimiliano Speziani, Marco Cacciola, Annibale Pavone, Lucia Perasa Rios, Elisabetta Valgoi, Rosario Tedesco, Giovanni Franzoni che da noi non mettono piede nelle istituzioni. Anche in questo il Servitore è per me un pretesto per un discorso sul teatro: prendere il testimone della tradizione e riconsegnarlo con una forma nuova, un nuovo Arlecchino e una nuova generazione di attori attraverso cui guardare avanti».