Antonella Amapane, La Stampa 20/11/2013, 20 novembre 2013
I BIG ITALIANI? ORA INVESTONO SU MILANO
[Valentina Ventrelli, analista di mercato]
È il turismo a dettare legge decidendo a seconda delle città le mappe dello shopping. Alla faccia della globalizzazione. Via del Corso non è la Quinta Strada, e nemmeno Avenue Montaigne, anche se sboccano proprio lì le lussuose via Borgognona e via Condotti. Ma per quale ragione adesso sta diventando una zona di fast fashion simile alla meneghina corso Buenos Aires? L’abbiamo chiesto a Valentina Ventrelli, ricercatrice del Future Concept Lab (fondato da Francesco Morace) l’istituto milanese che analizza i cambiamenti del mercato e fa consulenza strategica per aziende italiane e internazionali.
Secondo lei perché da via del Corso se ne sono andati marchi italiani lasciando il posto a quelli stranieri?
«Lo shopping per eccellenza, il più raffinato, si fa a Milano, dove non ci sono tante altre distrazioni. A Roma i turisti vanno soprattutto per scoprire le sue doti artistiche e culturali. Solo in seconda battuta girano per negozi. In questi momenti di crisi, ovvio che i grandi gruppi industriali italiani preferiscano investire su Milano o sui mercati esteri in ascesa. Si pensi che la sola Rinascente Duomo fa in buona sostanza quasi il fatturato di tutta la Rinascente».
Più che le griffe sono i grossi gruppi italiani a essere scappati da via del Corso, perché?
«I gruppi stranieri hanno una marcia in più anche nella distribuzione. Noi, invece, non siamo capaci di fare sistema, fatichiamo a mettere insieme le aziende. Siamo bravi sul pronto e sull’eccellenza, ma non nella fascia media».
Però non ci limitiamo a brillare in una manciata di città.
«Questo è un altro nostro pregio. Fuori da Parigi o Londra c’è poco, pochissimo. Mentre la qualità dei negozi nella provincia italiana è altissima».
Quindi non tutto è perso?
«No, anzi. Francesco Morace sul tema sta pubblicando il libro “Italian Factor”, in cui spiega come bisogna lavorare sui valori dell’italianità. Esistono tante realtà produttive che brillano per queste caratteristiche. Pochi Paesi le hanno. Insomma, noi facciamo benissimo certe cose e meno altre. Ma si può e si deve imparare».