Pasquale Di Santino, Corriere dello Sport 19/11/2013, 19 novembre 2013
STADIO ROMA STRADA IN SALITA
ROMA – L’entusiasmo è un moto dell’anima comprensibile, auspicabile, necessario quando si intraprendono progetti che somigliano tanto alla scalata di un ottomila a scelta della catena himalaiana. Ma da solo, l’entusiasmo, non basta. A quelle altezze serve tanto ossigeno per non essere costretti a tornare al campo base prima del tempo e senza aver conquistato la vetta. E in fondo, costruire uno stadio a Roma e per la Roma, come in buona parte d’Italia Torino esclusa non è un po’ avventurarsi in una scalata al tetto del mondo?
OBIETTIVO 2018 – James Pallotta l’obiettivo ce l’ha chiaro: entrare nel nuovo stadio giallorosso per i suoi sessant’anni, cioè nel 2018, con buona pace di Francesco Totti che tra un lustro ne compirà 42 e difficilmente giocherà ancora. Eppure, quello dei tempi rischia di non essere il problema più serio sulla strada della realizzazione della “bombonera” tutta romanista. Un anno fa la dirigenza romanista schierata al completo, con Luca Parnasi (project manager di Parsitalia, poi diventato proprietario dell’ippodromo di Tor di Valle con la società Eurnova) annunciò ad Orlando la scelta proprio dell’area di Tor di Valle, tra le 80 selezionate da gennaio 2012 dalla Cushman&Wakefield. E forse molti pensavano ad un percorso in discesa.
A NATALE – La realtà dei fatti, invece oggi dice che ad una comprensibile fase di stallo, chiamiamola gestazione progettuale, affidata all’architetto americano Dan Meis con studio a Los Angeles, non è seguito un parto naturale. E per il cesareo bisogna aspettare almeno un altro mese, il neonato verrà posto, pardon presentato, sotto l’albero di Natale. Insomma siamo già sui sei mesi di ritardo. Ma al di là dei disegni, dei rendering apparsi in qualche scatto non ufficiale, non ci sono spiragli concreti, di fattibilità. Eppure sono stati sufficienti quei pochi dettagli perché un architetto come Massimiliano Fuksas (che sta realizzando all’Eur la Nuvola, il nuovo Centro Congressi) bocciasse il progetto: «E’ inguardabile – ha detto –. Un intruglio spaventoso. Un Olimpico imbruttito, rozzo, sembra un’arena per gladiatori. E’pensato male e nel luogo sbagliato».
PROBLEMI SERI – Il giudizio estetico rimane soggettivo, fa più effetto quello logistico: anche perché coincide con le perplessità, ormai diffusa delle istituzioni, Comune e Regione, in attesa, anche loro, di conoscere i dettagli del progetto e il cui via libera è tutt’altro che scontato. Ma già così, non tira una bella aria. Il primo aspetto riguarda la posizione dell’area scelta, in “piena zona golenale” come sostengono al Wwf che dal 2008 monitora il tutto e sostiene che “non sono compatibili ulteriori insediamenti rispetto a quelli già esistenti” perché l’area è a rischio esondazione del Tevere.
PIANO REGOLATORE – Ma questo è il minimo: l’operazione complessiva, circa 600.000 metri cubi insiste infatti su una zona vincolata. Da una parte quella strettamente relativa all’ex ippodromo di Tor di Valle, di destinazione a “verde privato e attrezzato”, il resto disciplinato come “agro romano e aree agricole”. Morale: per costruire uno stadio in quella zona, bisogna modificare sostanzialmente il Nprg (Nuovo Piano Regolatore Generale). L’iter? Complesso: dall’invio dei progetti agli uffici tecnici competenti per ambiente ed urbanistica, fino alle deliberazioni del Consiglio Comunale, della Giunta, poi rinvio del progetto alla Regione e conseguenti deliberazioni. Per non parlare dell’intervento delle Sovrintendenze. Tempo di cottura? Se va bene, cinque anni. Per la costruzione, Parnasi ha ripetutamente dichiarato di poter completare rimpianto in 2-3 anni. Altro che 2018!
INFRASTRUTTURE – Infine, c’è il discorso della viabilità per arrivare (e uscire) dal futuro “nuovo Colosseo”. Tor di Valle si raggiunge infatti percorrendo la Via del Mare, datata 1928, che come tutti i romani sanno è già congestionata ora, senza stadio... Una strada non ampliabile in nessuno dei due lati, chiusa com’è tra la Ferrovia che porta ad Ostia e il Tevere. Si può fare tutto, certo, ma con un’opera monumentale. E chi sosterrebbe i costi di un piano del genere con un Comune in rosso per centinaia di milioni?