Jolanda Bufalini, l’Unità 18/11/2013, 18 novembre 2013
SCANDALO ATAC
Nella relazione della Commissione interna all’Atac sullo scandalo dei biglietti donati, presieduta dal professor Renato Croce e pubblicata da Repubblica, un particolare salta agli occhi per la sua incongruenza. «Emerge - vi è scritto - che 3 biglietti acquistati il 16 settembre del 2009 sono risultati validamente emessi, regolarmente validati, ma non ne risulta la vendita sulla contabilità aziendale, mentre 4 biglietti acquistati in data 17 e 18 settembre 2010 risultano validamente emessi, regolarmente validati, ma non come venduti, emergeva dalla verifica nella contabilità aziendale». Tre biglietti nel 2009, quattro biglietti nel 2010: o è un filo di Arianna che porterà la magistratura alla scoperta della megatruffa, oppure siamo di fronte a una megabufala: 7 biglietti in due anni sono una quantità molto lontana dai 70 milioni all’anno che un sistema criminale bipartisan di foraggiamento della politica avrebbe sottratto alle sofferenti casse dell’azienda romana.
All’Atac - dove sono rimasti di ghiaccio al parallelo fatto dal sindaco Marino con Cosa nostra - e che è tecnicamente parte lesa, si chiedono quale sia lo scopo occulto di tanto fango, se ci siano dietro appetiti da privatizzazione oppure, come pensa l’assessore ai trasporti Guido Improta, che lo ha detto apertis verbis in consiglio comunale, volano stracci «nel regolamento dei conti fra le fazioni di parentopoli». L’assessore puntigliosamente ricorda che la magistratura «ha rinviato a giudizio 8 persone per le 45 assunzioni illegittime» della parentopoli di Alemanno. Una fonte anonima, per di più, rivela che il trait d’union bipartisan della megatruffa sarebbe stato Riccardo Mancini, il tesoriere di Alemanno rinviato a giudizio per la tangente sulla commessa dei tram a Finmeccanica.
CALAMANTE E LA ERG
In verità, né in azienda né sul fronte politico si esclude che da qualche parte ci sia una banda di falsari. Ma l’ex assessore al bilancio Marco Causi è propenso a ritenere che le truffe fossero più facili prima dell’introduzione dei biglietti elettronici, quando il grosso si disperdeva nei mille rivoli delle rivendite autorizzate: «Non ho elementi per affermare che nessuna truffa sia mai stata consumata nel mondo Atac-rivenditori. Anzi, penso sia ben possibile che qualche comportamento truffaldino ci sia stato». Però, continua l’ex assessore, oggi deputato Pd: «I ricavi tariffari di Atac, dopo l’introduzione della bigliettazione elettronica, sono costantemente cresciuti fra il 2003 (176,1 milioni) e il 2009 (226,7 milioni)». Il declino degli introiti inizia con il cambio della guardia seguito alla vittoria di Alemanno: «gli introiti - continua Causi - sono diminuiti nel 2010 (224,8 milioni) e poi di nuovo nel 2011 (222,3 milioni)». Nel 2012 si risale a 225 milioni ma, sostiene l’ex assessore, «è un aumento molto modesto, se si pensa che a metà dell’anno il costo del biglietto è salito da 1 a 1,5 euro». La sua conclusione: «Non so se ci siano state truffe, certamente a cavallo fra 2009 e 9010, l’efficienza organizzativa del sistema Atac comincia a declinare, mentre negli anni precedenti erano stati generati ben 50 milioni in più di ricavi». Se si guardano gli incassi provenienti dai Bit (i biglietti integrati), quelli su cui si basa la presunta truffa, si vede che vanno dai 94,7 milioni del 2001 al 110 del 2008, ai 94,1 del 2013. L’ipotesi di una truffa da 70 milioni per anno significherebbe un movimento di viaggiatori quasi doppio di cui nessuno si è accorto.
Sotto la lente di ingrandimento dei magistrati ci sarebbe l’operazione condotta da Mauro Calamante, allora presidente di Atac, che decise, in accordo con Veltroni, di riportare all’interno di Atac la bigliettazione elettronica, togliendolo alla australiana Erg. Il rapporto con la Erg si era deteriorato per molti motivi: la difficoltà a reperire i biglietti, l’incasso che arrivava in forte ritardo, una dipendenza tecnologica di Atac troppo forte. La Erg, inoltre, aveva perso interesse perché l’affidamento, nel 1998, doveva riguardare tutto il Lazio, cosa che saltò per la contrarietà del presidente della Regione Francesco Storace. Alla riduzione dell’ordine corrispose uno scadimento del servizio. L’accordo raggiunto da Calamante per rescindere il rapporto prevedeva l’assunzione del personale Erg. Non fu una scelta industriale avventata, dice oggi un dirigente dell’Atac: «I costi delle provvigioni di vendita si sono dimezzati, dall’8% circa al 4%, compreso il costo del personale proveniente dall’Erg, II sistema di vendita è migliorato con le nostre biglietterie, sono aumentati gli abbonamenti con la politica tariffaria. Cosi l’investimento iniziale è stato ammortizzato».
LO STRANO CASO CASTALDO
L’altra questione su cui interrogarsi è l’attendibilità delle fonti del presunto scandalo e sulla sincerità dell’intento moralizzatore. Le due relazioni che circolano da tempo, l’una redatta da Croce e da altri cinque manager arrivati con Alemanno, la seconda affidata, dopo parentopoli, a Renato Castaldo, membro del collegio sindacale, riconfermato ad aprile, subito prima delle ultime elezioni, da Alemanno. È soprattutto su Castaldo che si addensano molte perplessità. La gestione di Atac in questi anni non ha certo brillato per trasparenza, le consulenze agli studi legali, compresi quelli interpellati per le suddette relazioni, gli affidamenti diretti sono metodologie adottate di prammatica. Ma il membro del collegio sindacale non sembra avere battuto ciglio. In più, ha percepito nel 2012 un compenso, per la sua attività sindacale, di 180.000 euro, disattendendo le indicazioni che venivano dall’azionista Campidoglio, che aveva indicato la cifra di 45.000 euro. Un vizio, questo delle superparcelle, che il dottor Castaldo si porta dietro da quando era sindaco all’Anas. Nel 2009 fu condannato dalla Corte dei conti perché presentò una parcella da un milione di euro e rotti come fosse un consulente esterno mentre, le verifiche che aveva svolto per conto dell’Ente che gestisce le autostrade, erano già previste dal suo contratto di membro del collegio sindacale. Mentre Renato Castaldo era all’Anas suo figlio Franco fu assunto e fece rapida carriera come dirigente.