Francesca De Sanctis, l’Unità 18/11/2013, 18 novembre 2013
INTERVISTA A GIANRICO TEDESCHI
«BENE, DOPO QUESTA CONVERSAZIONE VADO IN SCE- NA SAPENDO QUALCOSA IN PIÙ...». SCHERZA, RISPONDE A SUON DI BATTUTE E CON LA MEMORIA VIAGGIA AVANTI E INDIETRO NEL TEMPO mentre racconta un pezzo della sua vita e della prossima avventura teatrale che lo porterà di nuovo sul palcoscenico, stavolta nei panni di un vecchio partigiano, che, neanche a dirlo, legge sempre e solo l’Unità. Lui, Gianrico Tedeschi, è nato nel 1920. Eh sì; è bene ricordarlo, perche questo signore con i capelli bianchi e lo sguardo ancora vispo ha alle spalle una lunga e variegata carriera: dal teatro di Strehler e Ronconi alla commedia musicale di Garinei e Giovannini, dalla prosa televisiva allo spettacolo più leggero, dal Carosello alle pubblicità delle caramelle Sperlari senza tralasciare il cinema (l’ultimo film in cui ha recitato è Viva la libertà di Roberto Andò). E da domani sarà Teatro Sala Umberto di Roma in Farà giorno, un bellissimo testo scritto da Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, con Marianella Laszlo e Alberto Onofrietti, regia di Piero Maccarinelli (repliche fino al 1° dicembre, poi Milano dal 3 al dicembre).
Gianrico, quest’anno festeggia sessantanni di teatro, non sono pochi… «Sono passati sessant’anni? Però… in effetti sono un bel po’, avevo perso il conto».
Si ricorda quando e dove avvenne il suo debutto?
«Ho iniziato a recitare in un campo di concentramento, la passione però mi è sbocciata molto prima. Mio padre mi portava a teatro tutte le domeniche e i primi tempi mi annoiavo terribilmente, avevo 6-7 anni... Un giorno però ho visto al Teatro del Verme di Milano Ermete Zacconi recitare Gli Spettri e da allora ho iniziato ad andare a teatro per conto mio. Ma la prima volta che io andai in scena fu in un campo di concentramento».
Si ricorda come andò?
«Certo, recitai l’Enrico IV di Shakespeare con tutti i miei compagni del campo nei ruoli femminili. Era un campo solo di ufficiali. Ci hanno tenuto lì perché speravano - avendo mandato i soldati a lavorare - che questa massa di ufficiali coi tempo aderisse alla repubblica di salò, ma quasi nessuno lo fece. Quindi mi trovali lì, con tutta l’intellighenzia italiana: Rebora, clic mi incoraggiò molto a continuare con la recitazione, Lazzari, Natta, Guareschi. Sono stati loro i miei primi spettatori. Erano spettatori importanti... Ogni ufficiale aveva nello zaino un libro. Li abbiamo messi insieme e creato una biblioteca. Molti di quei testi li ho messi in scena, con passione e incoscienza».
Di Guareschi cosa ricorda? Scriveva durante la prigionia, si consigliava?
«Con Guareschi abbiamo fatto diverse cose insieme, andavamo nelle baracche (i campi erano quelli di Beniaminovo, Sandbostel e Wietzendorf, ndr) e organizzavamo una specie di “serate culturali”. Io recitavo liriche, poi avevamo un amico che suonava la fisarmonica, insomma facevamo dei piccoli spettacoli di intrattenimento. In quel periodo Guareschi scrisse una canzone per la figlia appena nata Carlona, che poi ho cantato in uno spettacolo qualche anno, Smemorando, una sorta di viaggio nelle mie memorie. Negli anni successivi io e Guareschi ci siamo rivisti, ma non abbiamo fatto altre cose insieme. Mi mette malinconia ricordare quei tempi… Però quando siamo stati liberati sembrava una scena da musical. Pensi che siamo stati liberati dagli scozzesi con cornamusa e gonnellino, e in lontananza si vedeva penzolare il corpo impiccato del direttore del campo… Un musical a tinte noir insomma».
Una volta tornato in Italia, dopo quell’Enrico IV, ha lavorato con tanti altri registi, da Strehler a Ronconi, e ora di nuovo con Piero Maccarinelli. Il personaggio che interpreta, Renato, un ex partigiano, le somiglia molto, lo sa?
«Il personaggio in verità lo sto ancora inseguendo… però è vero che ci somigliamo. Per la storia che ci accomuna, per l’ideologia che condividiamo, anche se il testo non è ideologico, ma racconta un incontro umano, è la testimonianza di un anziano che ha qualcosa da dire sul senso della vita ad un giovane».
Manuel è un giovane fascista con un linguaggio duro, è fiero della sua ignoranza anche se intelligente: secondo lei molti ragazzi di oggi sono come lui?
«No, io voglio molto bene alla generazione di oggi. Manuel è un ragazzo di periferia sfortunato ma non tutti sono così, lui abbraccia un’ideologia più per ignoranza. C’è una battuta molto bella del testo che dice: “sei troppo ignorante per essere davvero fascista, figuriamoci per diventare un comunista”».
In quello stesso dialogo Renato dice a Manuel: «Non sei stupido, sei giovane... Leggi! Studia! Cerca di capire le persone! Pensa!... E qui non c’entra niente la politica, maledizione, non ti voglio plagiare». Questo è un consiglio che darebbe ai ragazzi?
Sì, certo, sempre nel rispetto delle loro scelte. Se sono scelte fatte in piena coscienza...».
A proposito di scelte, ad un ceno punto In «Farà giorno» entra in scena Aurora, figlia di Renato ed ex terrorista. Ed ecco che le generazioni a confronto sono tre, tre diverse visioni del mondo. «Aurora non è né pentita, né irriducibile. È una che ha risolto il suo nodo politico comprendendo l’errore. Si riconosce nel padre e capisce di aver sbagliato direzione. È una idealista e getta le sue energie in un’altra direzione, cioè va in Africa».
Un altro modo di combattere...
«Sì, esatto. Però ha capito l’errore, quello che non ha risolto e il rapporto con il padre, ma lo farò grazie alla relazione che si instaura fra Manuel e Renato. C’è, nel testo, una bella frase che deriva dalla filosofia orientale: “il debito verso un corvo bianco può essere pagato a un corvo nero”. Il corvo è il corpo umano, quello bianco è Aurora che paga il suo debito al corvo nero (Manuel), riconosce in lui la stessa capacità di agire che l’ha spinta a sbagliare e così risolve il nodo irrisolto col padre».
Ogni personaggio tenta a suo modo di «ripulire» la società. C’è ancora bisogno secondo lei di «ripulire la società» e se sì in che modo ?
«Che responsabilità... non vorrà mandarmi in galera! Si, c’è bisogno eccome di ripulire la società, le armi sono la cultura, la democrazia, la libertà e il teatro».
Dunque, citando il titolo dello spettacolo, le chiedo: alla fine «farà giorno»?
Si, farà giorno, è solo questione di tempo, ma farà giorno».