Umberto De Giovannangeli, l’Unità 19/11/2013, 19 novembre 2013
IL CALCIATORE VA A MORIRE
CHI L’HA CONOSCIUTO SUI CAMPI DI CALCIO GIURA “ CHE ERA UN GRANDE TALENTO. UN TALENTO VERO, che abbinava tecnica e generosità. Una generosità che l’ha portato a concludere la sua giovane esistenza su un campo. Un campo di battaglia. Burak Karan, questo il suo nome, aveva 26 anni. Aveva la stoffa del buon calciatore. Fino al 2008 faceva il centrocampista difensivo, con un buon successo. Da ragazzo, era stato selezionato per le nazionali giovanili tedesche: in ritiro con Kevin Prince Boateng, con Sami Khedira, top player, gente che ha sfondato. Lo scorso ottobre Burak Karan è morto in Siria, vicino alla frontiera turca, durante un bombardamento delle forze lealiste di Assad. Lui, con ogni probabilità, era lì a combattere, sull’altro fronte. Da qualche anno, infatti, Burak Karan aveva deciso che il calcio non faceva per lui. O meglio, non gli interessava più. «Soldi, carriera, non erano cose importanti per lui racconta il fratello alla Bild, quotidiano tedesco che oggi ha portato questa storia in prima pagina – Era sempre su internet, a seguire le notizie dalle zone di guerra. Era angosciato per le vittime». Non c’è un infortunio a bloccarne la carriera, anzi. Il tecnico dell’Aachen (il suo ultimo club) conferma che avrebbe potuto guadagnarsi da vivere tranquillamente col calcio. Certo, non sarebbe stato Boateng, ma a Burak di diventare una star calcistica non interessava affatto. Lui, ha altri avversari a cui chiedere conto delle loro malefatte. Quelli che da oltre trenta mesi hanno ridotto il popolo che sente suo, quello siriano (Burak è tedesco di passaporto, ma turco di origini e musulmano di religione), in un popolo di sfollati, contro cui sperimentare ogni arma, anche quelle chimiche.
Di lui resta solo un video in cui viene dipinto come un «valoroso combattente» della jihad. E una fotografia con al fianco un fucile mitragliatore. La procura federale di Wuppertal, nella Nord Renania-Vestfalia, ha aperto intanto un’inchiesta per accertare se l’ex calciatore abbia sostenuto «una rete del terrore straniera» vicina al movimento salafita. «Una tragica storia», scrive la stampa tedesca. Ma molti risvolti non sono chiari. Secondo il fratello Mustafa, Burak non era un guerrigliero ed era andato a vivere in Siria con la moglie e i due bambini piccoli per compiere attività umanitarie. Si trovava nel luogo dove è stato ucciso per controllare che gli aiuti alle popolazioni della zona venissero distribuiti nella maniera più efficace. «La carriera e il denaro non erano importanti per lui. Era terribilmente angosciato per le vittime del conflitto. Ma non voleva combattere», ha aggiunto. Secondo altre testimonianze dei familiari, anche il video che ha raffigurato l’ex giocatore della under 17 tedesca come un miliziano anti-Assad sarebbe il risultato di un equivoco. A proposito della mitraglietta che compare nell’immagine, Mustafa ha detto che il fratello «era armato per proteggere i suoi veicoli».
La vicenda di Burak Karan è venuta alla luce poche settimane dopo l’allarme dei servizi segreti sull’aumento dei «jihadisti» di nazionalità tedesca che hanno deciso di unirsi alle forze in lotta contro il regime di Damasco. Secondo i dati in possesso dell’Ufficio federale per la protezione della costituzione (BfV), citati dal settimanale Der Spiegel, sarebbero circa duecento i fondamentalisti islamici arrivati dalla Germania in Siria, dove sarebbe stato fondato anche ;in «campo tedesco». La preoccupazione è accresciuta dall’attività di reclutamento che sarebbe stata avviata su Internet e sui social network. Gli amici di un tempo, quelli acquisiti negli anni trascorsi tra allenamenti, ritiri, e partite, non credono che «quel» Burak, il «loro» Burak, potesse essersi trasformato in un jihadista. Ma, raccontano. «Anche allora prendeva le difese dei più deboli». È lo stesso spirito, ripetono i familiari, che lo ha portato nella martoriata Siria. Per vivere la sua seconda vita. E lì morire.