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 2013  novembre 20 Mercoledì calendario

Scacchi per Sette – Probabile origine degli scacchi in Persia o in India, giunti in Europa forse tramite gli arabi

Scacchi per Sette – Probabile origine degli scacchi in Persia o in India, giunti in Europa forse tramite gli arabi. Lo “scacco matto” deriva dall’arabo “Shāh Māt”, che significa «il re è morto». Gli antichi greci avevano una specie di scacchi che si chiamava Diagrassismòs. (Cinzia Dal Maso, la Repubblica 07/11/09) La leggenda secondo la quale l’uomo che fece scoprire il gioco degli scacchi al faraone chiese per ricompensa un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza e così via. Il numero totale dei chicchi di grano è due alla sessantaquattresima meno uno, pari a 18.446.744.073.709.551.615. (Massimo Perrone, Sportweek 13/11/2010) È stato calcolato che il numero di partite possibili è superiore a quello del numero di particelle dell’universo visibile. (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore) In Italia i tesserati alla Federazione (Fsi) sono circa quindicimila, a cui vanno aggiunte diecimila tessere giovanili. (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore) Dei 15mila tesserati in Italia, le donne sono 1.500, un decimo. In tutto il mondo gli uomini sono all’incirca i tre quarti del totale. Tra le giocatrici più forti al mondo, le tre sorelle Zsuzsa, Zsofia e Judit Polgár, ungheresi. Le ha istruite il papà Laszlo: a partire dai quattro anni hanno cominciato a giocare, per due ore al giorno. Diventate già brave, le ritirò dalla scuola e prese a iscriverle ai tornei maschili. Tra i campioni sconfitti dalla più piccola, Judit (classe 1976), ci sono Kasparov, Topalov, Anand. Kasparov una volta le definì «cagne ben addestrate». «Non sono mai riuscita a battere un uomo sano. Avevano sempre qualcosa, dopo: emicrania, mal di pancia...» (Zsuzsa Polgár). Il jazzista Artie Shaw fece dare lezioni di scacchi alla moglie Ava Gardner, salvo poi innervosirsi fino a diventare violento quando lei cominciò a batterlo. Il 20 marzo 1804 Napoleone e Madame de Rémusat, dama di compagnia di Giuseppina, giocarono a scacchi. La partita fu lasciata a metà, ma Mme de Rémusat raccontò comunque della sua volontà di «aiutare Napoleone a vincere». Al giornalista che gli chiedeva se preferisse la donna a letto o sulla scacchiera, Boris Spassky: «Dipende dalla posizione». Mussolini disprezzava gli scacchi e i suoi gerarchi li consideravano «un gioco da femmine». (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore) San Pier Damiani nel 1061 scrisse una missiva indignata al Papa. Riferiva, scandalizzato, che il vescovo di Firenze, invece di curare la sua diocesi, passava tutto il giorno tra Pedoni e Cavalli. (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore) Condannarono gli scacchi san Bernardo di Chiaravalle (1128), san Luigi IX re di Francia (1254) e fra Girolamo Savonarola. (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore) I talebani negli anni Novanta li proibirono in Afghanistan. (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore) Marx esule a Londra, assiduo scacchista. Quando perdeva s’agitava assai. Era, in effetti, molto più bravo nella dama. La sfida a scacchi tra il campione d’origine boema William Steinitz e il russo Michail Ivanovic Cigorin: il primo in una casa alla periferia di New York, il secondo a San Pietroburgo. A render possibile la partita, a fine Ottocento, messaggeri che correvano all’ufficio postale per inviare i cablogrammi «urgenti» con su le mosse per l’avversario. Partita interrotta, perché gli agenti del controspionaggio americano, insospettiti da tutte quelle sigle nei telegrammi, arrestarono Steinitz e lo tennero in cella per ventiquattr’ore. (Corriere della Sera 30/1/2004) Una delle prima partite di scacchi per corrispondenza si svolse nel Settecento tra Voltaire e il re di Prussia Federico II di Hoenzollern. Gli storici hanno ritrovato delle lettere che, oltre le dispute filosofiche, riportavano in calce strane sigle: numeri e lettere, che ancora oggi segnalano le mosse. Ignoto il risultato. (Corriere della Sera 30/1/2004) Le partite a scacchi tra i passeggeri in viaggio sui transatlantici che navigavano in direzioni opposte, tra America ed Europa. Le mosse da una nave all’altra erano comunicate via telegrafo. Quando i transatlantici s’incrociavano, le sirene facevano gran festa in onore dei vincitori. (Corriere della Sera 30/1/2004) Il barone von Kempelen nel Settecento s’inventò un manichino meccanico vestito da turco, con tanto di pipa e turbante, seduto dietro una scrivania. Di fronte a lui una scacchiera. Chi voleva si cimentava in una partita a scacchi. Il manichino era bravissimo e vinceva sempre. Cominciò a essere richiestissimo in tutte le corti europee. In realtà il doppio fondo c’era e dentro la cattedra stava accovacciato uno scacchista ben pagato, che seguiva attentamente la partita e azionava i movimenti del turco mediante ingegnosi meccanismi. Quando il trucco fu scoperto, finì in soffitta. Fu distrutto da un oncendio al Chinese Museum di Filadelfia, nel 1854. (Alessandro Barbero, Domenica-Il Sole 24 Ore 10/4/2011) Il primo computer in grado di sconfiggere negli scacchi un uomo è stato Deep Thought, progettata dalla Ibm: nel 1989 battè David Levy. Lo stesso anno Deep Thought fu battuto da Kasparov. Kasparov si cimentò di nuovo contro un computer (Deep Blue) nel 1996: la macchina vinse la prima partita, Kasparov si aggiudicò la sfida con 3 vittorie e 2 patte. La rivincita, un match di sei partite disputato l’anno successivo, fu vinta dal calcolatore. Venduta all’asta per 98mila euro la scacchiera usata nel film Il settimo sigillo (Ingmar Bergman) nella partita a scacchi tra il cavaliere Antonius Block e la morte. (AdnKronos 29/9/2013) Il fisico e matematico Paul Dirac, esperto negli scacchi al punto di battere la maggior parte degli studenti al Club degli scacchi del College, talvolta più di uno contemporaneamente. Marcel Duchamp a Roma passava i pomeriggi alla galleria La tartaruga. Racconta Giosetta Fioroni: «Quando qualcuno si avvicinava a lui, cercando di presentargli un progetto o semplicemente per parlargli d’arte, sul suo volto si manifestava subito una smorfia. Non riusciva a nasconderla, non parlava più ed emetteva una specie di grugnito. Si illuminava soltanto se giocava a scacchi». Nelle scuole in cui vengono introdotte delle ore di scacchi, sono stati notati grandi miglioramenti nell’apprendimento delle materie scolastiche, e nella capacità di imparare dai propri errori. (Anania Casale, Scacchi attrazione immortale, Aliberti Editore) Paul Morphy, leggendario campione statunitense dell’800, morì quasi demente, in preda a una feroce paranoia. Stessa sorte toccò al primo campione del mondo, il praghese Wilhelm Steinitz, che nei suoi ultimi giorni sfidava a scacchi Dio, al quale concedeva sempre un Pedone di vantaggio. Il campione messicano Carlos Torre, un giorno, si denudò su un autobus a New York. Il polacco Akiba Rubinstein, uno dei più grandi giocatori del mondo all’inizio del ’900, era ai limiti dell’autismo, e il suo terrore per ogni contatto sociale lo condusse in manicomio. Alexander Alekhine, eccentrico, squilibrato, arrogante, durante la guerra firmò opuscoli di propaganda nazista, con cui diffamava gli scacchisti ebrei (morì nel 1946, a 54 anni, soffocato da un pezzo di carne in albergo). Bobby Fischer, 180 di QI, nel 1972 primo campione del mondo di scacchi non sovietico (partita contro Boris Spassky). Titolo tolto tre anni più tardi perché si era rifiutato di metterlo in palio contro Anatoly Karpov. Nel 1992, dopo anni di silenzio, riapparve, accettando, per 3,5 milioni di dollari, di giocare di nuovo contro Spassky, in Serbia. La sfida ai divieti americani (Belgrado allora era sotto embargo) gli costò un mandato di cattura internazionale e l’ostracismo del suo Paese. Andò a vivere tra le Filippine e il Giappone. Nel 2001, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, disse: «L’America ha avuto quel che si merita: è ora di farla finita con questo Paese imperialista». Quattro anni più tardi, l’arresto mentre tentava di lasciare il Giappone con un passaporto falso. Otto mesi di carcere e quindi la cittadinanza islandese concessa solo per «questioni umanitarie». Lì morì nel 2008. Fischer ricordava per sempre le mosse e le varianti di ogni singola partita da lui giocata ed era in grado di ripetere perfettamente a memoria interi discorsi in lingue sconosciute semplicemente ricordando i suoni delle parole. Imparò il russo solo per poter leggere le riviste e i libri di scacchi pubblicati in Unione Sovietica. Quando Fischer vinse il titolo mondiale, nel 1972. Perse la prima partita. Alla seconda non si presentò, poiché gli organizzatori non avevano ottemperato alla richiesta di allontanare fotografi e cineprese. Per assecondare le sue richieste, la terza fu giocata in uno sgabuzzino. I sovietici lo accusarono di ricorrere a non meglio identificati strumenti elettronici in grado di modificare la percezione intellettuale del loro campione. Chiesero e ottennero che la sala di gioco fosse passata al setaccio, che la poltrona di Fischer venisse sottoposta ai raggi X e prelevarono persino un campione di aria dalla sede del match perché fosse analizzata a Mosca. Alla fine Fischer vinse l’incontro. Alla cerimonia di premiazione si presentò con un completo di velluto rosa e, dopo aver controllato con attenzione l’assegno del premio in denaro, tornò al suo posto, dove si mise a studiare varianti sulla sua scacchiera portatile, completamente estraniato. «Adoro l’istante in cui spezzo l’ego di un uomo» (Bobby Fischer). «Gli scacchi sono uno sport. Uno sport violento» (Marcel Duchamp).