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 2013  novembre 19 Martedì calendario

I CONTI TORNANO SOLO A BERLINO


L’Italia ha la grave colpa di non aver saputo trovare le giuste contromisure per affrontare una recessione economica divenuta sempre più profonda e che sembra non avere più fine. Di questa situazione il nostro Paese deve dolersi soprattutto con se stesso, a causa del costante rinvio delle riforme necessarie e delle ripetute crisi di governo che l’hanno colpito nell’ultimo biennio. Ciò ha gravemente nuociuto alla nostra credibilità internazionale e al nostro rating, mentre negli altri Paesi i governi governavano e cercavano di gestire al loro meglio l’emergenza.
Tuttavia, non dobbiamo nemmeno essere così ingenui da non accorgerci che molte delle attuali difficoltà economiche dell’Italia e dei Paesi mediterranei dipendono anche dalle numerose asimmetrie e incongruenze su cui è stata costruita la casa comune dell’Eurozona e dalle sbagliate ricette che l’Eurocrazia ha rigidamente imposto ai Paesi membri per uscire dalla crisi.
Circa gli squilibri che sono esplosi col tempo, basti ricordare l’enorme eccesso di surplus delle partite correnti che la Germania ha potuto accumulare in questi anni e su cui ora la stessa Commissione europea ha dovuto accendere i propri riflettori, non senza un certo imbarazzo, aprendo una indagine.
Erroneamente taluni hanno parlato di troppo export della Germania: nessuna persona ragionevole, infatti, pensa che Berlino debba frenare la sua prorompente macchina esportatrice che tutti ammiriamo. Il problema è un altro: la Germania, infatti, consuma e importa poco, soprattutto dai Paesi del Sud Europa. Basti pensare che tra il 1999 e il 2012 il surplus bilaterale commerciale cumulato della Germania con i 5 principali Paesi del Sud Europa (Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) è ammontato a circa 840 miliardi di euro. Una somma che ha trasformato la Germania da "malata d’Europa" in Paese forte e le ha permesso di affrontare la crisi degli ultimi anni in condizioni ottimali. Ciò non sarebbe mai potuto avvenire, nonostante le pur importanti riforme avviate da Schröder, con una situazione di cambi flessibili e con la Germania fuori dall’euro, perché il marco si sarebbe in pochi anni rivalutato enormemente sull’euro stesso. Persino nel 2012, nonostante la crisi economica, il surplus commerciale tedesco verso i 5 maggiori Paesi del Sud Europa è stato di ben 56 miliardi di euro.
Anche nella guerra mondiale dei debiti senza esclusione di colpi che è divampata in questi ultimi anni la Germania è stata una delle economie che si è più avvantaggiata. In particolare, a Berlino ha fatto assai comodo che l’Italia, già facilmente attaccabile perché senza una guida stabile, venisse messa sempre più all’angolo dalle agenzie di rating ed additata dalla stessa Europa come poco affidabile ben al di là dell’effettivo stato dei nostri "fondamentali". Col risultato che il flusso dei finanziamenti internazionali dei debiti pubblici si è spostato dal nostro debito sovrano, che ne assorbiva una quota importante, a quello tedesco e di altri Paesi, che ne hanno beneficiato notevolmente.
Escludendo l’Italia, nelle venti altre nazioni della Ue di cui l’Eurostat pubblica regolarmente l’ammontare dei debiti pubblici esteri, cioè finanziati dai non residenti, la somma di tali debiti è cresciuta dal 2008 al 2012 della stratosferica cifra di 1.084 miliardi di euro (e da questo totale parziale mancano, tra gli altri, i dati della Gran Bretagna, dell’Olanda e della Grecia). Soldi che sono serviti ovunque a salvare banche, ad ammortizzare la crisi sociale, a finanziare spesa pubblica anticiclica per sorreggere il Pil. Per contro, il debito pubblico estero italiano, progressivamente abbandonato dagli investitori stranieri (che solo quest’anno lo hanno un po’ riscoperto), è aumentato nello stesso periodo di appena 24 miliardi. Il debito pubblico estero tedesco è invece cresciuto di 345 miliardi, quello francese di 297 miliardi e persino quello spagnolo di 137 miliardi.
In particolare, dal 2010 al 2012, cioè nel biennio più caldo della crisi europea, il nostro debito pubblico estero è addirittura sceso di 103 miliardi, mentre quello degli altri 20 Paesi Ue rilevati dalle statistiche Eurostat è aumentato di ben 416 miliardi. Ebbene, se dal 2010 al 2012 il debito pubblico italiano finanziato da non residenti, anziché diminuire, fosse cresciuto come quello della Germania o della Francia, l’Italia avrebbe intercettato 197 miliardi in più di denaro estero che sarebbero venuti contemporaneamente a mancare agli altri Paesi costringendoli a trovare al loro interno le risorse aggiuntive per finanziare il proprio debito pubblico. Grossolanamente, ripartendo tali 197 miliardi (che l’Italia ha "lasciato agli altri") in base alle quote di debito estero dei diversi Paesi nella Ue, si può stimare che nel 2011-12 alla Germania sarebbero venuti meno 65 miliardi di finanziamento internazionale del proprio debito, mentre alla Francia ne sarebbero venuti a mancare 58 e alla Spagna 19.
Di conseguenza, il debito pubblico italiano finanziato da residenti ha dovuto compensare la "fuga" dei non residenti ed è aumentato dal 2010 al 2012 di 242 miliardi, una crescita sostenuta principalmente dalle banche e dagli altri attori del nostro sistema finanziario. Per contro, il debito pubblico della Germania finanziato dai residenti nel biennio 2011-12 è addirittura diminuito di 10 miliardi di euro nonostante una crescita del debito pubblico totale di 110 miliardi. In altre parole, la Germania ha potuto accrescere il proprio debito pubblico complessivo esclusivamente grazie agli investitori stranieri, a tassi irrisori, senza chiedere impegni alle proprie banche e ai propri cittadini.
Ciò che è paradossale, è che persino gli aiuti che la Germania ha dato ai Paesi europei in difficoltà (e che sembrano scandalizzare molto l’opinione pubblica tedesca) sono stati finanziati dagli stranieri, perlomeno fino al 2012, mentre i circa 40 miliardi che alla stessa data l’Italia ha devoluto alla causa europea li ha dovuti sborsare tutti di tasca propria, impegnando risorse interne sottraendole alla crescita. L’Europa che ci contesta persino un possibile decimale di deficit in più e si meraviglia del fatto che il nostro Pil non aumenta come dovrebbe (mentre la tuttora "scassata" Irlanda dovrebbe essere addirittura presa a modello!) dovrebbe forse interrogarsi su quanto avrebbe potuto crescere la nostra economia già nel 2013 se avessimo destinato quei 40 miliardi (tutti nostri e non finanziati dall’estero) al pagamento dei debiti arretrati della Pa anziché ai Paesi "periferici".
La realtà è che in questi anni noi italiani abbiamo pagato, nel silenzio generale, una gigantesca tassa patrimoniale a favore di un’Europa che se oggi sta un po’ meglio di due anni fa lo deve, oltre che a Mario Draghi, proprio a noi: Danke schön, Italia!