Sergio Romano, Corriere della Sera 19/11/2013, 19 novembre 2013
KARSKI E L’EBRAISMO POLACCO IL FATO DI UN LIBRO RITROVATO
A proposito dei primi testimoni oculari dello sterminio degli ebrei, vorrei ricordare l’ufficiale SS Kurt Gerstein, «la spia di Dio». Ricevuto nel giugno 1942 l’incarico di rifornire i campi di concentramento del micidiale gas tossico Zyklon B (spacciato per potente disinfestante), viene scosso da una profonda crisi di coscienza quando constata l’uso che in realtà se ne fa.
Ne informa subito la Nunziatura apostolica di Berlino, ne parla con i diplomatici di Svizzera e Svezia, riesce a far pervenire la notizia anche a Londra. Ma non sarà creduto. La sua vicenda ha ispirato autori teatrali (Rolf Hochhuth, «Il Vicario») e cinematografici (Costa Gavras, «Amen»).
Domenico Vecchioni
domenicovecchioni@yahoo.it
Possibile che anche dopo gli inutili colloqui avuti in Gran Bretagna e in America, Jan Karski non decise di rendere pubblica la tragedia dell’Olocausto? Spero solo che non lo fecero sparire…
Teresa Torriani
Milano
Cari lettori,
I fattori che contribuirono all’indifferenza della pubblica opinione per la sorte degli ebrei europei sono numerosi. Nei Paesi dell’Europa occidentale la maggioranza della pubblica opinione scoprì la dimensione del fenomeno soltanto dopo la fine del conflitto, quando apparvero i primi filmati, soprattutto americani, sulle condizioni dei sopravvissuti nei campi liberati dagli Alleati. Prima d’allora molte persone erano certamente al corrente, ma ritenevano che i veri problemi del momento fossero altri: le condizioni di vita nei Paesi occupati dalle truppe tedesche, i conflitti civili fra partigiani e collaborazionisti, i bombardamenti, il mercato nero, la sorte dei figli e dei mariti inviati su fronti lontani. È possibile che una parte di quella indifferenza fosse dovuta agli umori antisemiti di settori non piccoli delle società europee dopo la fine della Grande guerra. Gli ebrei soffrirono allora di un doppio pregiudizio, contraddittorio ma molto diffuso in Europa e negli Stati Uniti. Erano frequentemente considerati «bolscevichi» là dove i partiti comunisti avevano assunto un forte ruolo politico, ma erano considerati la peggiore espressione del capitalismo finanziario là dove erano molto presenti nelle attività economiche e bancarie.
I governi erano certamente meglio informati, ma sembravano preoccupati dalla possibilità che la guerra diventasse, agli occhi della pubblica opinione, una «guerra per gli ebrei». La Chiesa cattolica temeva per i propri fedeli, sapeva di essere esposta ai ricatti del regime nazista e quando si adoperò per salvarli, come accadde a Roma durante i mesi dell’occupazione, cercò di dare nell’occhio il meno possibile.
Il caso del libro di Karski, a questo proposito, è molto interessante. Fu scritto a New York, in una stanza d’albergo, a passo di carica, nell’estate del 1944, perché gli americani avevano fretta di pubblicarlo. Ma il loro principale obiettivo era quello di fare sapere al mondo che gli Alleati, nella loro lotta contro la Germania, potevano contare sulla simpatia e la collaborazione delle popolazioni civili e dei movimenti di resistenza. L’autore poté rievocare le sue visite al ghetto di Varsavia e al campo di concentramento nei pressi Lublino, ma gli fu chiesto di concentrarsi sulla Resistenza polacca e di evitare considerazioni troppo polemiche verso l’Unione Sovietica. Stalin era un importante alleato, la guerra non era ancora vinta e le democrazie occidentali avrebbero potuto dare agli ebrei soltanto un aiuto marginale, se non addirittura irrilevante. Con questa impostazione il libro vendette in poche settimane 360.000 copie. Oggi le priorità sono cambiate e le memorie di Karski devono la loro notorietà alla sorte degli ebrei polacchi piuttosto che alla parte molto più lunga concernente la Resistenza.