Emilia Costantini, Roma, Corriere della Sera 19/11/2013, 19 novembre 2013
PROIETTI RACCONTA
«Non è che sentissi l’esigenza impellente di raccontarmi... Non è che la mia vita sia così avventurosa... Non ho fatto viaggi in Amazzonia, non sono stato assaltato dai pirati...». Gigi Proietti si schermisce e già dal titolo della sua autobiografia si intuisce lo spirito disincantato e soprattutto autoironico con cui ha accettato di scriverla: «Tutto sommato, qualcosa mi ricordo», Rizzoli editore, è già in libreria. «La Rizzoli ha insistito tanto - continua l’attore - e alla fine mi hanno convinto. Ho detto ragazzi proviamoci, vediamo che succede... Perché ognuno deve fare il proprio mestiere: io sì, scrivo i testi dei miei spettacoli, ma non sono un romanziere, uno scrittore... Figuriamoci: io scrivo ancora a penna! Al computer ci sto a prova’, ma sono troppo lento... Quest’estate, quando stavo a Ponza, scrivevo, scrivevo... ‘na fatica... Insomma... mi rivolgo ai veri scrittori: non abbiate paura, me fermo qua!».
Tuttavia, accettare di scrivere un’autobiografia è un po’ come decidere di svolgere un bilancio personale. «Più che altro è stata l’occasione per fare quattro chiacchiere sul mio passato, sperando che interessi a qualcuno: la finalità è che chi lo legge possa sentire un po’ la mia voce, come vedere un mio spettacolo, e spero di riuscire nell’intento. È un libro sincero, questo sì, ma ripeto: non ho velleità da Premio Strega... e voglio tranquillizzare chi invece queste velleità le coltiva».
La dedica del libro recita: «Alla mia famiglia che mi ha sopportato e che ancora mi sopporta». Precisa Gigi: «Sì, ma nel libro non ho parlato molto del mio privato. Certo, ho raccontato di quando sono nate le mie figlie, ma non ritenevo necessario scendere nei particolari della mia famiglia, non per pudore, ma perché non è che nel privato io abbia vissuto chissà quali avventure... E poi sarebbe stato un altro genere di libro. Stavolta racconto la mia storia d’attore e il mio vero divertimento è stato di cercare di raccontare, attraverso piccoli aneddoti, anche l’Italia e soprattutto Roma. Una storia minima, insomma».
Aneddoti e tanti ricordi: «Quelli che risalgono a quando ero ragazzino, molto prima di iniziare a fare l’attore. La periferia romana dove abitavo, il Tufello, nel periodo della ricostruzione del dopoguerra, le case popolari, gli amici, l’oratorio...». E naturalmente i genitori: «I miei erano persone educate in un altro secolo: anche se erano dei primissimi anni del Novecento, i loro genitori era gente nata alla fine dell’Ottocento... ». E i genitori accolsero con un certo sospetto la vocazione artistica del giovane Proietti: «Non era una vera e propria vocazione - obietta Gigi - Non è che fossi arso dal sacro fuoco, dalla passione del teat ro, la polvere del palcoscenico! A teatro non c’ero mai stato e a scuola non è che si parlasse di teatro: oddio... neanche adesso nelle scuole se ne parla tanto, ma all’epoca non c’era la tv, non c’era internet, le informazioni circolavano con più difficoltà». Dunque, come mai ha deciso di intraprendere questa strada? «Non sono figlio di attori, drammaturghi o registi... non avevo una tradizione familiare, però quando andai all’università mi sono iscritto al Centro Teatro Ateneo e lì ho cominciato a capire delle cose e soprattutto a partecipare a degli spettacoli di sperimentazione e avanguardia con Cobelli, Calenda... La passione, poi, è arrivata strada facendo, quando ormai nel teatro c’ero dentro fino al collo. Il vero e proprio clic è scattato quando interpretai il “Dio Kurt” di Alberto Moravia: fu un successo che travalicò l’ambiente ristretto di un’élite, venne molto apprezzato da un pubblico più vasto e lì... mi sono reso conto, ho avuto la certezza di fare questo mestiere e che ci potevo campare. All’epoca - continua - si aveva la sensazione che fare teatro non desse sicurezza, e ancora oggi tanta sicurezza non te la dà, però a quel tempo era davvero molto più precario di oggi che esistono anche altri mezzi per un attore: doppiaggio, televisione». Proprio in questi giorni Gigi è impegnato sul set di una nuova fiction che andrà in onda su Raiuno nella prossima stagione, con la regia di Luca Manfredi: «Faccio la parte di un cronista di nera in pensione, al quale capita di riprendere in mano dei vecchi “casi” non risolti e, pur non essendo un detective, ricomincia a fare indagini per conto suo». Alla fine dell’autobiografia, Proietti si congeda dai lettori affermando di aver voluto scrivere soprattutto di ieri, non di oggi: «Oggi non lo conosco bene, ne parlerò magari domani, quando sarà diventato ieri. Anche perché ormai - conclude - c’ho preso gusto e ho già il titolo del prossimo libro: “A me gli occhiali, please”».
Emilia Costantini