Fabio Cavalera, Corriere della Sera 19/11/2013, 19 novembre 2013
«PARRUCCA OFFRESI», LA CRISI DEI GIUDICI INGLESI
Affare d’oro. «Parruccone indossato per quindici anni vendesi al migliore offerente». L’austerità morde e il magistrato ha pensato bene di pubblicare, in una newsletter riservata al discreto mondo della giustizia inglese, il suo quasi disperato appello. Mantenere quel «full bottomed wig», ossia il copricapo finto che costa un occhio della testa, è un gioco che ormai non vale più la candela. Meglio sbarazzarsene e cercare qualcosa di più economico. E di meno ingombrante.
Non è l’unico, come ha rivelato il Times venuto in possesso della «prova» scritta che anche fra i giudici di sua maestà, così riservati, tira aria di sofferenza economica. Stipendi fermi, costo della vita che sale. Spending review per le toghe. Che fanno i loro conti fino al punto di svendere l’armamentario di vestiti e di trucchi a loro assegnato da una tradizione plurisecolare.
C’è chi cerca di piazzare le parrucche, chi i pantaloni, chi le cinture, chi le mantelline. Ad esempio, uno (nomi e cognomi sempre nascosti dietro le sigle di comodo usate nelle piccole pubblicità) offre le sue brache nere «raramente usate e fresche di tintoria» (ci mancherebbe). E un altro un paio di polsini ricamati. Un altro ancora la giacca nera, pure «deliziosamente lavata». Poi vanno all’asta scarpe con le fibbie «calzate in occasione del giuramento solenne». O cinture di ermellino. E via di questo passo.
Ci racconta la storia che i giudici al servizio della corona devono agghindarsi in modo appropriato sin dai tempi di Edoardo III (re dal 1327 al 1377). Che il loro guardaroba, almeno la prima fornitura, viene garantito dalle casse pubbliche (un tempo dalla monarchia). Che le consuetudini furono trasformate in linee guida sull’abbigliamento nel 1635, regole che sono sopravvissute a rivoluzioni, rivolte e guerre. Solo nel 2009 c’è stata una parziale riforma che ha permesso alle corti civili e a quelle di diritto familiare di acconciarsi in maniera dignitosa ma normale. Comunque, le Alte Corti e la Suprema Corte continuano a condividere l’obbligo dei travestimenti in stile medioevale con qualche accorgimento di modernità.
Il guaio è che i parrucconi, i «full bottomed wig» o biondo scuri o grigi che cadono ben oltre le spalle con i boccoloni di crine di cavallo, non durano un’eternità. Chi li distribuisce garantisce una durata di mezzo secolo, l’intero arco della carriera. Ma alla prova della verità non è così. E allora bisogna ricostruirsi il decoroso arredo da aula. Il che ha un prezzo non indifferente. L’unico rimedio possibile è guadagnare vendendo i preziosi «attrezzi» della professione e risparmiare affidandosi all’usato rammendato ma pulito.
Proprio nel 2009, in occasione del nuovo corso, fu rivelato che la dotazione dei 12 magistrati della Suprema Corte valeva complessivamente 137 mila sterline. Non poco: mantelline, scarpe, cinture si seta e di raso, pantaloni. E ovviamente il parruccone. Che è un pezzo da museo: può valere fino a 2 mila sterline, euro 2400. Un mezzo salasso. Si comprende quindi lo sfogo del giudice che al Times si dichiara pronto ad «accettare un’offerta pari alla metà dell’effettivo valore» per poi rimpiazzarlo con uno di seconda o terza mano, magari ricavando nel saldo una manciata di banconote. Tempi duri e via al mercatino.
In attesa che il vento del terzo millennio faccia volare via l’antico «kit da corte», l’associazione che difende i contribuenti, la «Taxpayers Alliance», graffia: «I giudici sono fra i dipendenti pubblici meglio pagati. Anche loro devono imparare a risparmiare». Su vestiti e soprattutto parrucconi.
Fabio Cavalera
@fcavalera