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 2013  novembre 19 Martedì calendario

PRIVATIZZARE UN PO’ PER FINTA


Incalzato dalle critiche di Bruxelles alla legge di Stabilità, il presidente del Consiglio ha annunciato che nei prossimi giorni presenterà un programma di privatizzazioni e indicherà gli obiettivi per la spending review .
Sulle cessioni di aziende pubbliche vorremmo chiedere un impegno. Che non si chiami «privatizzazione» il trasferimento della proprietà di un’impresa alla Cassa Depositi e Prestiti, una società della quale lo Stato possiede l’80% del capitale. Così è accaduto per le quote di Eni, Enel, Terna, Snam, Sace, Simest, Fintecna e, ultima arrivata, Ansaldo Energia.
Sarebbe bene fermarsi. Non è con gli artifici contabili (anche se formalmente consentiti dalle regole europee) che si diminuisce l’indebitamento e si aiuta la crescita. Se il governo vuole ridurre l’onere del debito pubblico attingendo al risparmio postale (una fonte di finanziamento relativamente poco costosa che oggi affluisce alla Cassa) lo destini direttamente alla Tesoreria dello Stato, senza farlo transitare per la Cassa, spesso pagando dazio.
Non è solo una questione contabile. Trasferire la proprietà di un’azienda pubblica dallo Stato alla Cassa Depositi e Prestiti è un modo per non privatizzarla mai. Lo Stato è oppresso da una montagna di debiti e ha un forte incentivo a vendere. La Cassa al contrario debiti non ne ha e quindi non ha alcun motivo per cedere imprese o partecipazioni. Anzi, ha un incentivo a usare i finanziamenti a buon mercato, che gli derivano dal monopolio della raccolta postale, per costruire un impero industrial-finanziario, come sta facendo da alcuni anni.
La Cassa inoltre è posseduta per il 18% dalle fondazioni bancarie. Trasferendo un’azienda dallo Stato alla Cassa si dà a quegli enti un diritto di veto o comunque di interferenza nelle privatizzazioni. Non si vede perché.
Ci sono migliaia di aziende pubbliche di proprietà di Regioni, Comuni e Province. Alberto Orioli, sul Sole 24 Ore del 14 ottobre scorso, ha stimato che siano quasi ottomila, con un numero di consiglieri di amministrazione che supera i 19.000. La legge di Stabilità si limita a porre dei paletti alle loro spese. Servirà a poco.
Finché quelle aziende rimarranno pubbliche i loro costi ricadranno, almeno in parte, sulle nostre tasse. L’unica soluzione è venderle. Perché la raccolta dei rifiuti deve essere affidata a un’impresa del Comune, con il risultato che i suoi addetti sono dipendenti pubblici, quindi di fatto inamovibili?
Invece di artifici contabili vorremmo che il presidente del Consiglio ci spiegasse come pensa di ridurre quelle ottomila aziende a poche decine. Così fra l’altro le indurrà ad aggregarsi: che senso ha che Vicenza abbia una sua azienda di luce, acqua e gas, diversa da quelle di Padova e Verona?
Privatizzazioni e spending review sono strettamente collegate. Perché non si può ridurre significativamente la spesa se prima non si riduce lo spazio che lo Stato occupa nell’economia. A spazio dato si può tagliare ai margini, ma il risultato sarà modesto.
Tanto più se, come riporta Fabio Tamburini all’interno (pagina 25), si va nella direzione opposta. Il Fondo strategico (controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti), aiutato da un altro fondo (F2i) starebbe comprando da quattro banche la Sia, la Società interbancaria per l’automazione, valutando l’azienda circa 700 milioni. Insomma, lo Stato è oppresso dai debiti, ma la mano pubblica continua a essere leggera e disinvolta.