Filippo Ceccarelli, la Repubblica 19/11/2013, 19 novembre 2013
MAX & MATTEO, CARISSIMI NEMICI– D’ALEMA deve essersi convinto che Renzi è molto, ma molto permaloso
MAX & MATTEO, CARISSIMI NEMICI– D’ALEMA deve essersi convinto che Renzi è molto, ma molto permaloso. Il punto politico è se lo sia più o meno di lui. In mancanza di un affidabile «suscettometro », per pura ipotesi di studio ed equanime disponibilità d’animo, si può valutare che il Leader Maximo sia tollerante e bonario nella stessa identica misura del Bimbaccio fiorentino. Con tale premessa, e la documentabile certezza che nella post-politica i personalismi giocano un ruolo preponderante, pare abbastanza chiaro che D’Alema sta cercando di far saltare i nervi a Renzi. LO ATTACCA, certo, ma soprattutto si direbbe che lo stuzzica. Dice basta di «fare la vittima», lo invita a riconoscere che «non è più Giamburrasca », come pure lo esorta a considerare che, una volta conquistato il Pd, avrà dinanzi a sé «anni di attesa, molto lunghi e logoranti». E comunque la sua vittoria procurerà «un’emorragia di iscritti». Pausa: «E poi i gazebo chi li smonta, Flavio Briatore? ». Il tono di sussiego, di condiscendenza e a volte perfino di tele-sopportazione, con le dovute articolazioni mimiche — innalzamento di sopracciglia, capo reclinato e amara piega della bocca — insomma tutto questo gli riesce benissimo, anzi è la sua specialità. Anche le immagini che usa sono piuttosto irritanti nella loro crudele efficacia. D’Alema sostiene che Renzi ha ormai tutti dalla sua parte, come se volesse «prendere la Bastiglia con il re e le baronesse». Ne sbertuccia i tic, le fissazioni tecno-giovanilistiche da social-net, per cui «sarà anche bravo a battere sulla tastiera con tutte e dieci le dita, ma stiamo eleggendo un segretario, non un dattilografo». E in tal modo ha inteso salutare l’esito della Leopolda: «Renzi mi ricorda Virna Lisi: con quella bocca può dire ciò che vuole». Ad alcuni appassionati filologi, pochissimi, pare di ricordare che quel sapido quanto archeologico richiamo a Carosello venne a suo tempo indirizzato anche a Berlusconi. Ma i più diligenti fra loro si sono pure appuntati che Renzi, da sublime paravento qual è, ha colto l’occasione per spedire subito all’attrice un bel mazzo di tulipani bianchi. Fatto sta che durante il week end D’Alema ha intensificato le sue pungenti arguzie andando a sfruculiare il sindaco sul terreno della cultura. Non è ovviamente la prima volta, già in passato avendo espresso alla pubblica opinione la sua personale curiosità su «quale genere di libri legge. Ma alla fine non l’ho scoperto — concludeva con una smorfia di delusione — però è un ragazzo brillante». Bene, ieri ha di nuovo menzionato con un certo schifo la brillantezza, ma soprattutto ha rilevato che l’aspirante leader è «superficiale e ignorante». E qui si passa a Renzi, su cui esiste sufficiente materiale per ipotizzare che anche lui è parecchio competitivo e pure arrogantello. Un D’Alema in erba, tanto per proseguire l’avventata disamina, e quindi, e comunque, tutt’altro che scemo. Dal che s’intuisce che il giovane non solo ha compreso il cattivo gioco, ma soprattutto è ben pronto ad accettare la guerra dei nervi, nel senso che pure lui lavora per farli saltare al suo più attempato avversario. Come? Non rispondendogli proprio, non calcolandolo, simulando una specie di plateale superiorità fatta di silenzio, sorrisetti furbi e occhi al cielo. Un po’ come in famiglia reagiscono i più giovani alle bizze del nonnetto rinco: lasciatelo parlare, è la prova che io ho ragione. Ha spiegato una volta Renzi: «D’Alema è arrabbiato con me perché vorrebbe che gli dicessi: “Sì, bwana! Sì, bwana!”». E se pure l’espressione suona sciaguratamente colonialista, rende piuttosto bene la condizione di reciproca ostilità iper-personalizzata, tanto più inconciliabile quanto più estesa alle categorie dell’egotismo, dell’anagrafe e della rottamazione. Ora, sarà anche sconveniente e/o doloroso riconoscerlo, ma pur sempre di politica si tratta. Per cui, dinanzi all’asimmetrica e speculare rivalità del momento, inevitabilmente si tende ad assegnare scarsa considerazione ai rispettivi progetti politici: D’Alema infatti ne ha inseguiti troppi e anche contraddittori; mentre Renzi non ne ha lasciato intravedere alcuno. E questo francamente complica. Così come, quando si prova a ricostruire i rapporti fin qui intercorsi fra i due, il quadro è aggravato e al tempo stesso immiserito dal fatto che nell’arco di cinque anni l’uno e l’altro si sono via via alleati e divisi, spalleggiati e presi in giro, lodati, sviliti e disprezzati in una permanente giostra di minacce e riconoscimenti, incontri e forse complicità (i 101 anti-Prodi?), speranze e strette di mano, con tanto di maschere dalemiane messe sotto il camper renziano «Adesso!», accuse di prendere l’aereo privato e poi salire su detto camper e pretesi interventi dei servizi segreti. Ah, la bella politica di una volta! Non che allora mancassero le antipatie e i duelli, tutt’altro. Ma di colpo, a rischio di apparire nostalgici babbioni, si resta come minimo frastornati nel sentire D’Alema parlare saggiamente di «litigi da mezze calzette », e viene da chiedersi se anche questi sono i frutti della rottamazione, o se invece, o per caso, bisogna far finta di niente.