Fabio Martini, La Stampa 19/11/2013, 19 novembre 2013
EMILIANI LA STAGIONE FELICE DEL MESSAGGERO
Da qualche tempo l’assedio (pacifico) dei new media ai giornali sta insidiando la carta stampata in peculiarità un tempo esclusive. Come il monopolio sulle notizie scritte. La capacità di fare opinione. La forte simbiosi con le città nelle quali alcuni quotidiani mantengono le proprie radici. In particolare la doppia vocazione nazional-locale ha segnato la stagione più felice del Messaggero, il principale giornale di Roma al quale è dedicato Cronache di piombo e di passione (1974-1987), Donzelli editore, libro scritto da Vittorio Emiliani, che del giornale è stato direttore per sette anni. Per l’Italia una stagione tumultuosa durante la quale i quotidiani seppero interpretare in anticipo mutamenti profondi nell’opinione pubblica. Precedendo la frattura storica determinata dal referendum voluto dalla Chiesa e dalla Dc contro la legge sul divorzio, alcuni quotidiani moderati cambiarono passo: Il Messaggero pubblicò un «No» alto quindici centimetri, mentre nella prima pagina della Stampa comparve un titolo a nove colonne («L’Italia è un Paese moderno») inusuale per i tempi.
Il Messaggero, dopo decenni di cabotaggio filo-governativo, assume un’identità giornalisticamente più laica, promuove campagne che lasciano il segno (quella solitaria contro il blackout delle informazioni sulle Br e per la liberazione del giudice D’Urso); investe su firme prestigiose, da Manganelli a Sciascia, da Caffè a Bernard-Henri Lévy; racconta storie che, in Parlamento e in Campidoglio, indispongono partiti di governo e di opposizione. Le vendite lievitano e - come dirà l’avvocato Agnelli durante la presentazione di una vettura Fiat a Roma - «Il Messaggero è tornato a dare dei bei profitti». Dunque, giornale florido perché indipendente: troppo per i politici del tempo. Ciriaco De Mita chiede a Montedison la testa del direttore Emiliani, battitore libero di cultura socialista. Craxi e Martelli sono d’accordo, Natta annuisce. È il 1987. Pochi anni ancora e sarà la nemesi: quei partiti così ingordi saranno cancellati da un’opinione pubblica che in quella stagione - oggi è più chiaro - fu «letta» molto meglio dai tanto bistrattati giornali che dalla politica.