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 2013  novembre 19 Martedì calendario

PERCHÉ NON POSSIAMO NON DIRCI BUGIARDI


«Non posso fare a meno di mentire», confessa sorridente Marlon. Il grande Brando appare in un filmato che si sarebbe dovuto intitolare Lying for Living (mentire per sopravvivere) e che non ha mai visto la luce. Dove il divo, a un gruppetto di estasiati apprendisti stregoni tra cui Leonardo DiCaprio e Sean Penn, tiene una lezione sull’importanza dell’essere bugiardi. Nonostante la tematica c’è da credergli. Da Fellini a Hitchcock, da De Sica a Jovanotti (che afferma: «All’inferno delle verità io mento col sorriso»), il mondo dello spettacolo e della letteratura da sempre alleva nel suo seno i praticanti del raggiro. Oscar Wilde sosteneva che il dir panzane fosse una fuga dalla monotonia e lamentava il declino di questa «arte, scienza e piacere sociale». Nietzsche era convinto che il mondo fosse «falso, contraddittorio, corruttore». Il giovane Holden sosteneva: «Io sono il più fenomenale bugiardo che abbiate mai incontrato in vita vostra. Perfino se vado all’edicola a comprare un giornale, e qualcuno mi domanda che cosa faccio, dico che sto andando all’opera».
Alla faccia dell’autenticità! Nei secoli però ai conta balle non è andata sempre bene: nel Medioevo li mettevano sulla graticola; sant’Agostino, François de La Rochefoucauld («le persone deboli non possono essere sincere»), Kant e tanti altri li fustigavano. Adesso una recentissima ricerca sconvolge tante certezze: lo studioso inglese Ian Leslie ha lavorato per anni sulle sperimentazioni degli specialisti delle fandonie di tutto il mondo (psicologi dell’età infantile, neurobiologi, esperti del comportamento ingannevole nel mondo animale). Il risultato che Leslie propone, nell’intrigante excursus Bugiardi nati. Perché non possiamo vivere senza mentire (uscirà da Bollati Boringhieri, pp. 320, € 18,70), è sorprendente: mentire è uno dei motori dell’evoluzione ed è un toccasana. Aiuta ad avere successo nel lavoro, una salute migliore, migliori rapporti con il nostro prossimo. Se ci tolgono le quotidiane panzane, ci ammaliamo o cadiamo nella depressione e nella follia.
Questo non da oggi ma a partire dalle origini dell’Homo sapiens: studiandone i comportamenti, Nicholas Humphrey, scienziato dello sviluppo del cervello, ha dimostrato che la palma della sopravvivenza di solito non se la sono conquistata i forzuti e nerboruti ma i parenti di Ulisse, i furbi che con gli inganni hanno ricavato parecchi vantaggi riproduttivi e hanno salvato la pelle. Avviene pure tra i primati: per esempio, se un babbuino vede approssimarsi dei suoi simili malintenzionati, si alza sulle zampe posteriori e fissa lo sguardo lontano. I nuovi arrivati si fermano, si girano e si concentrano anch’essi in quella direzione, e intanto lui se la dà a gambe levate. Persino la nostra personalità prende forma attraverso la prima frottola. Lo diceva Iosif Brodskji («la vera storia della coscienza comincia con la prima bugia») ma lo sostengono pure gli analisti del mondo dei più piccoli: tra i 3 e i 4 anni e mezzo i bambini registrano che in alcune circostanze le bugie ricevono il plauso dei genitori e in altre no.
Tutti noi siamo spesso convinti di non essere mentitori di professione. Invece la psicologa statunitense Bella De-Paulo ha annotato che in una settimana si enunciano in media 1,5 bugie al giorno e che due persone si ingannano reciprocamente almeno tre volte nei primi dieci minuti dell’incontro. «Tutti mentono», ha scritto Mark Twain, «ogni giorno, a ogni ora, da svegli, nel sonno, nella gioia, nel dolore». Le affermazioni insincere sono di varia natura. Ci sono quelle utilizzate per proteggere la privacy, per mascherare una condotta disdicevole, le semplici omissioni (mi racconti la tua vita amorosa ma dimentichi di dire che la tua partner è mia moglie). E inoltre ci sono le frottole per farsi belli (il pesce enorme pescato e poi rigettato in acqua) e quelle a fin di bene. I peggiori sono i mentitori patologici e i manipolatori che pensano solo al vantaggio personale.
È possibile smascherare il Pinocchio che si nasconde tra noi? Di solito riteniamo che i bugiardi tendano a distogliere lo sguardo, ad agitarsi, a balbettare: Charles Bond, psicologo della Texan Christian University, ha intervistato circa tremila soggetti di 63 paesi e ha verificato l’inesistenza di quella sintomatologia. Conviviamo infatti con un «pregiudizio di verità», ci fidiamo a priori degli altri e riteniamo che l’inganno in qualche modo trapeli.
Qual è il periodo storico in cui la bugia si trasforma in un’arte? Il 1600, quando si allargano le corti europee e uno stuolo di funzionari ambiziosi è sempre più avido di favori dalle teste coronate. Inizia l’epoca delle false promesse o in tempi più recenti dei programmi elettorali disattesi. Il cortigiano è il simulatore per eccellenza. «Bisognava avere fama di franchezza ma abito di segretezza, uso opportuno della dissimulazione e facoltà̀ di finzione», sosteneva lo spregiudicato Francesco Bacone. A tutt’oggi (nella sfera pubblica, in politica) siamo debitori al secolo in cui è nata l’impostura teorizzata. Rassegniamoci, dunque: la nostra capacità di ingannare è «indispensabile all’equilibrio della coscienza umana e allo sviluppo dell’uomo nella società». Parola del celebre critico letterario George Steiner. Che ci piaccia o no, siamo tutti bugiardi nati. Anche se c’è bugia e bugia.