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 2013  novembre 19 Martedì calendario

L’SPD HA CEDUTO MERKEL SENZA LIMITI


La Grande Coalizione che si sta preparando in Germania è costruita su un pesante scambio politico.

La socialdemocrazia infatti intende occuparsi esclusivamente della politica sociale interna, mentre la democrazia cristiana di Angela Merkel continuerà a gestire la politica finanziaria, economica e i rapporti con l’Europa - come prima. Il collegamento dei due aspetti - politica interna e politica europea - funziona però a senso unico. Infatti soltanto grazie alla «politica del rigore» verso l’Europa sarà possibile la generosa politica sociale interna.
L’adesione incondizionata della socialdemocrazia alla linea Merkel e lo scambio politico che la sottende preannunciano che non ci sarà spazio per una incisiva politica europea che sia sotto il segno della solidarietà. Ma oggi in Germania chi parla di «solidarietà per l’Europa» viene zittito e rimproverato di difendere «l’Europa dei debiti». L’Europa degli altri. Gli elettori tedeschi - socialdemocratici compresi - sono convinti di dover stare in guardia da popoli europei spendaccioni, inefficienti, inaffidabili.
Non so se la classe dirigente socialdemocratica la pensa davvero così. Qualche tenue voce discorde si sente. Ma certamente il gruppo dirigente non ha fatto molto per spiegare al suo elettorato che le cose in Europa non stanno esattamente così. I tedeschi non sono semplicemente i più bravi. Ma alla fine l’unica preoccupazione della Spd ora è quella di riguadagnare il consenso interno perduto - evitando di pensare ad una politica europea più impegnativa e lungimirante. Una politica dello struzzo.
Non c’è dubbio che il programma sociale proposto dalla Spd sia di grande rilievo (salario minimo, sostegni familiari, pensione di solidarietà, aiuti ai ceti economicamente più deboli, nuova politica energetica, doppia cittadinanza per i migranti ecc.) ma la sua attuazione è strettamente vincolata al mantenimento dell’attuale linea del governo Merkel, intransigente verso gli altri partner europei, a cominciare da quelli in difficoltà. In particolare viene respinta qualunque misura che alteri l’attuale equilibrio economico-finanziario tra i partner di cui oggettivamente gode la Germania. In altre parole: no agli eurobond, no a qualunque forma più o meno mascherata di mutualità dei debiti sovrani dei Stati dell’eurozona, riforma del sistema bancario soltanto secondo i criteri tedeschi e critica ormai aperta alla Bce di Mario Draghi, che per l’occasione è tornato ad essere chiamato «l’italiano». Ma non pare che i dirigenti Spd (con buona pace di Martin Schulz, presidente dell’europarlamento) abbiano idee molto diverse. O si impegnino a farle valere.
Enrico Letta giorni fa al Congresso della Spd a Lipsia è stato abile a dire che «l’Italia non è e non vuole essere un Paese assistito»; «l’Italia ce la fa da sola, ed è per questo che ora può chiedere con forza una svolta dell’Europa sulla crescita». E’ quanto volevano sentire i socialdemocratici, tanto più che elegantemente il presidente del consiglio aveva taciuto su quello che i tedeschi oggi non vogliono sentire: le critiche loro rivolte per gli squilibri prodotti dal surplus delle loro esportazioni. Peccato che Letta, appena tornato in Italia, abbia dovuto subire la doccia fredda delle critiche di Bruxelles, il suo governo sia incappato in una serie di crisi di varia natura che agli occhi tedeschi confermano la permanente «inaffidabilità» dell’Italia politica. L’effetto Lipsia è già scomparso.
Con il precipitare di una crisi tanto inattesa quanto ingovernabile, molti tedeschi hanno la sgradevole sensazione che i partner europei chiedano alla Germania di fare qualcosa che contraddice la lettera e lo spirito dei Trattati dell’Unione consensualmente sottoscritti. Sono convinti di avere saputo reagire meglio di altri alla crisi, esclusivamente per meriti propri, proponendosi quindi come modello da imitare e invitando i partner europei a fare i loro «compiti a casa». Sentono minacciata la loro ritrovata sovranità nazionale, che ritenevano d’avere messo in sicurezza dentro a un’Europa orientata secondo l’immagine ideale che essi se ne erano fatta. Adesso si sentono ingiustamente circondati da ostilità. La tentazione di «fare da soli» sta diventando forte, ma sinora è rimossa.
Con quali argomenti si può criticare questo atteggiamento, senza disconoscerne gli aspetti di verità? Con un solo argomento: ricordando che l’Europa è stata costruita e funziona sulla interdipendenza tra i membri che non può essere automaticamente determinata dai mercati o affidata a norme consensualmente stabilite in congiunture molto diverse, norme che ora si rivelano inadeguate allo scopo. Non mi risulta che gli uffici studi della Spd abbiano prodotto o quanto meno dato rilevanza pubblica e pubblicistica ad analisi che sviluppano questa tesi. (Salvo qualche generica evocazione di un nuovo piano Marshall non meglio precisato). In breve non mi pare che i socialdemocratici tedeschi posseggano una solida visione politica ed economica europea, che sia non dico alternativa ma significativamente autonoma rispetto a quella merkeliana. Una visione che tenga conto anche delle considerazioni fatte da analisti e commentatori internazionali, senza alcun pregiudizio anti- tedesco, che spiegano come e perché la situazione di interdipendenza oggettiva tra le economie europee ha subito in questi ultimi anni distorsioni che hanno favorito l’economia tedesca a svantaggio di altre. No, non è questione di «arroganza» o «egemonia» teutonica. Si tratta di prendere sul serio il fatto che l’interdipendenza delle economie e dei loro meccanismi, su cui è stata costruita l’Europa, esige oggi di essere governata in modo diverso. Non senza o addirittura contro i tedeschi, ma insieme a loro.
Ma al momento attuale l’intransigenza della Germania sulle proprie posizioni acquisite, l’impressionante immobilismo della Francia, l’impotenza e l’inefficienza dell’Italia e l’atteggiamento solo fiscal-burocratico di Bruxelles stanno creando le premesse perché il prossimo Parlamento europeo si riempia di nemici dell’euro e dell’Europa e venga di fatto paralizzato. Se neppure questa fosca prospettiva è in grado di dare uno scossone ai responsabili politici europei, l’Europa che abbiamo sognato si approssima alla sua fine.