Paolo Baroni, La Stampa 19/11/2013, 19 novembre 2013
PRIVATIZZAZIONI PIÙ RAPIDE IN BALLO ANCHE ENI, POSTE E FS
Anche sulle privatizzazioni il governo accelera. Già entro questa settimana, ha annunciato ieri Enrico Letta, il piano previsto per fine anno arriverà infatti sul tavolo del Consiglio dei ministri. Così «il deficit scenderà al 2,5%, il livello fiscale e la spesa pubblica saranno ridotti» auspica il premier. In cima alla lista il governo intende mettere innanzitutto beni e partecipazioni «che non sono strategici per il Paese», come ha puntualizzato sempre ieri il ministro per lo Sviluppo economico Flavio Zanonato. «Ci sono beni immobili e ci sono anche quote di società» che potranno essere cedute di qui ai prossimi mesi, «anche senza perderne il controllo» ha poi rimarcato il responsabile del dicastero di via Veneto.
Dopo l’allarme di Bruxelles per il debito pubblico che l’anno prossimo toccherà quota 134% del prodotto interno lordo, il governo passa dunque al contrattacco. A fronte di un tesoro di diverse centinaia di miliardi di euro e costituito più da immobili che da quote azionarie e società, il menù di massima è già noto. In cima alla lista delle dismissioni già da settimane il Tesoro ha messo innanzitutto partecipazioni mobiliari, ovvero le società, a partire dalla quota di Fincantieri valutata all’incirca 1,5-2,2 miliardi. E’ previsto che anche una quota di Terna, il gestore della rete elettrica nazionale, venga ceduta. In questo caso non si tratterebbe di un incasso destinato a finire al Tesoro ma alla Cassa depositi e prestiti che potrebbe conferire il 29,9% di Terna che ha in portafoglio a Cdp Reti, che già controlla il 30% di Snam Rete Gas, per poi cedere una quota di questa società ad investitori italiani ed internazionali. Escluse Enel, perchè i valori di mercato non valorizzano a sufficienza il gigante elettrico, e Finmeccanica (per gli stessi motivi), tra palazzo Chigi ed il Tesoro si sta «ragionando» sull’Eni. Nelle scorse settimane si era parlato di mettere sul mercato la quota detenuta direttamente dal Tesoro, pari al 4,34% (a cui si aggiunge poi il 25,76% detenuto da Cdp), ed in questo caso l’incasso a fronte di una capitalizzazione del gruppo che viaggia ben sopra quota 65 miliardi di euro, si aggira attorno ai 2,8 miliardi di euro. Altra ipotesi circolata nei mesi scorsi era quella di utilizzare quote del Cane a sei zampe come ovvero garanzia, per emissioni obbligazionarie «di qualità», molto appetibili per il mercato ma con rating più alto di quello assegnato ai Btp e di conseguenza con interessi meno onerosi per lo Stato.
Il primo blocco dovrebbe esaurirsi qui. C’è poi una «fase due» che richiede più tempo per la sua messa a punto e che riguarda altre società ed in particolare l’articolazione dei vari business che potrebbero eventualmente essere staccati dalla società madre per poi essere ceduti in tutto o in parte. In questo caso gli indizi portano alle Poste (il cui valore complessivo è stimato in circa 6,4 miliardi), che potrebbero «perdere» o valorizzare l’attività bancaria ma soprattutto quella assicurativa, e soprattutto alle Ferrovie dello Stato, che risanate valgono la bellezza di 34-36 miliardi. In questo caso si potrebbe quotare direttamente tutto il gruppo, oppure portare in Borsa solamente il ricchissimo business dei treni ad alta velocità.
Infine ci sono immobili pubblici il cui valore totale è stimato in circa 360-370 miliardi di euro. Ma si tratta di un lavoro non è facile perchè si scontra con un mercato ancora depresso e poco ricettivo, sull’esigenza di concordare con i comuni gli eventuali cambi di destinazione d’uso degli edifici non utilizzati dal Demanio, e volendo allargare la fetta di vendita, sull’esigenza di riorganizzare tutto il resto per liberare almeno una parte di quelli occupati.
Twitter @paoloxbaroni