Conchita Sannino, la Repubblica 18/11/2013, 18 novembre 2013
IL PANE DELLA CAMORRA COTTO COL LEGNO DELLE BARE
Ardono nella notte. Li scopri seguendo l’odore: che sembra buono, fino a quando lo sguardo non si affaccia su quei legni che bruciano accanto al pane. Forni di “tradizione” allestiti in cantine e garage maledoroanti. Locali sporchi e umidi trasformati in panifici. Lieviti lasciati marcire nelle bacinelle di plastica, o centinaia di biondi “filoncini” cotti, congelati e scongelati e pronti a tornare caldi per la distribuzione illecita. Sono i fuochi accanto ai quali cuoce il pane abusivo della provincia napoletana.
«Pane tossico della camorra», lo marchia Mimmo Filosa, presidente dei panificatori campani dell’Unipan, segmento di un settore produttivo gravemente danneggiato dall’invasione del faida- te. Un fenomeno già denunciato dall’intero comparto e dall’ex assessore provinciale, Francesco Borrelli. Un commercio che esplode nei fine settimana, in centinaia di banchetti abusivi e furgoncini pronto-vendita che spuntano agli angoli delle strade, anche in pieno centro, o riforniscono clandestinamente rivendite e trattorie. Un business che non si spegne mai: proprio come quelle fornaci periodicamente sequestrate. Un affare da 500 milioni l’anno.
Solo ieri, 13 panifici sotto sigilli: è l’ennesimo blitz dei carabinieri di Napoli eseguito con i colleghi del Nas. Altri 17 forni erano stati chiusi dall’Arma meno di un mese fa. Tutti in locali fatiscenti. Dove l’igiene è un miraggio, e i clan coordinano la filiera delle origini.
Su un totale di 30 forni sequestrati, 26 erano nati dal nulla, senza uno straccio di autorizzazione o adesione a una norma. Tanti i Comuni toccati: nel centro storico di Giugliano l’impasto veniva trattato a mani nude da un intero nucleo familiare; a Calvizzano, Qualiano, Afragola e Casavatore, coinvolti una decina di terranei. Ma si va anche dall’area costiera di Torre Annunziata al comprensorio vesuviano di Somma e di Sant’Anastasia. Novanta persone denunciate: quasi tutti, gestori fuorilegge, completamente “invisibili”. «I cittadini onesti devono collaborare», esorta il comandante provinciale dell’Arma, Marco Minicucci, «l’azione che stiamo mettendo in campo è una scelta che mira a colpire la panificazione abusiva e a controllare quella regolare, ma è necessario che i cittadini non alimentino, con l’acquisto del prodotto “cattivo”, il circuito illegale e pericoloso». Gli fa eco Michele Buonuomo, di Legambiente: «È una lotta senza sosta quella intrapresa dalle forze dell’ordine. Per un forno sequestrato, altri sono pronti ad accendersi, basta un sotterraneo e il placet degli “amici” che contano. Un’attività criminale che mette a rischio l’eccellenza di un prodotto tipico della Campania». Dove il comparto legale, tra sacrifici e concorrenza sleale, tiene ancora insieme qualità migliore e prezzo più basso. Un chilo di pane vesuviano costa due euro a fronte, ad esempio, dei quattro di Venezia e dei tre di Bologna.
Eppure, a differenza di altri roghi, i fumi dei forni abusivi (essi stessi nocivi, per le emissioni) non indignano la popolazione: «Tanto servono per campare», «almeno è un lavoro». Anche uno dei giovani denunciati, con precedenti per spaccio, sbotta davanti a un investigatore del colonnello Francesco Rizzo, che gli sta chiudendo il forno a Giugliano: «Faccio questo per non fare il criminale e pure mi fermate?». Ma quel pane diventa anche rischio concreto per la salute. I fornai dell’illecito lasciano bruciare, come alcuni ammettono, non solo «vecchie pedane dei supermercati», o «legni provenienti da arredi» quindi con vernici che con il calore depositano sostanze dannose; ma anche gusci di nocciole trattate con antiparassitari, sterpaglie abbandonate. E, secondo alcuni, pezzi di legno di bare, come già raccontava una lugubre leggenda metropolitana. La camorra, d’altro canto, ha gestito direttamente lo smaltimento di quei residui “speciali”. Già in un interrogatorio del giugno 2008, il pentito dei casalesi, nonché stake holder dei rifiuti, Gaetano Vassallo, spiegava: «Ci hanno autorizzato sversamenti non consentibili; per esempio, scarti provenienti dai cimiteri, pezzi di bare di legno e zinco provenienti da esumazioni».