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 2013  novembre 19 Martedì calendario

IL MESTO ADDIO DI PASSARELLA AL RIVER PLATE

Da tempo Daniel Passarella stava preparando le valigie. E non per la visita in Vaticano, dove ieri è stato ricevuto da Papa Francesco nel 18° anniversario della morte del figlio Sebastian. Sono le valigie dell’addio al River, un viaggio nell’oblio dopo una vita di gloria in biancorosso. Mito come calciatore (7 titoli e 99 gol) e allenatore (3 campionati e tanti giocatori promossi), Passarella non è riuscito a prolungare il cammino di successo come presidente. «Nato per difendere il River»: nel 2009, appena 5 parole e una bella foto di lui capitano con lo sfondo di un cielo nero attraversato dai fulmini sono la campagna elettorale low-cost che convince i soci. Vincere le elezioni per 6 voti sembra un nuovo capitolo nella sua storia d’oro. Invece diventa un incubo. Il buco finanziario è molto più grosso di quanto immaginato. «Io sono capace di rimettere in ordine la casa», giura Daniel. È il Kaiser di sempre: personalità e braccio di ferro. Il suo austerity plan però ha un difetto: tutte le decisioni, fino alla contrattazione dei pullman per i giocatori, devono passare dalla sua scrivania. Senza delegare e senza fidarsi di nessuno, il River si avvicina alla paralisi. E il presidente rimane sempre più solo.
Chiedi alla nonna
Con l’ombra della retrocessione all’orizzonte, Passarella esonera Astrada e chiama Cappa; poi licenzia anche lui e si affida al suo amico Juan José Lopez (3 retrocessioni in carriera). Nel superclasico perso alla Bombonera, protesta per «5 rigori non dati» e va all’AFA per chiedere le dimissioni di Grondona. Ma nessuno l’appoggia. Settimane dopo, la sconfitta col Belgrano nei playout decreta la prima retrocessione nella storia millonaria . «Non ho prove, ma l’AFA voleva che il River finisse in B», spara il Kaiser. Esonerato Lopez, Passarella dà tutta la responsabilità al capitano Almeyda, che diventa allenatore e vince l’unico campionato della sua presidenza: quello della B Nacional. Ma pure il Pelado verrà esonerato dopo 17 partite in Primera. Anche Cavenaghi, Dominguez e Trezeguet subiscono lo stile Passarella, passando da eroi a scarti. Il Beto Alonso, grande idolo del club, è sempre critico: «Non è normale che il River abbia un presidente che è tifoso del Boca. Da piccolo aveva promesso a sua nonna che avrebbe distrutto il River. Purtroppo aveva ragione».
Scorta, debiti, complotti
Il Monumental comincia a intonare cori contro Passarella e ne chiede le dimissioni. «È solo una campagna dei media. Sono 400 tifosi prezzolati e l’80% dei giornalisti che non sanno niente di calcio», replica lui. Senza fare autocritica. È convinto: il mondo del calcio è contro di lui. E nel momento peggiore della storia del club, si vanta di aver vinto il «campionato finanziario» e si paragona a Obama. Nonostante tutto, i debiti salgono: oggi si calcolano in 55,5 milioni di euro, record negativo. Per farsi rieleggere diventa populista e firma la pace col vecchio nemico Ramon Diaz. «Con me in panchina, il River non sarebbe retrocesso», gli ricorda Ramon alla presentazione. Daniel sorride appena. Se la squadra avesse vinto l’Inicial o la Copa Sudamericana (k.o. ai quarti), Passarella si sarebbe presentato come candidato. Ma questo River è più vicino all’ultimo posto che al primo. «La mia famiglia mi ha chiesto di non andare avanti, non ne posso più», si arrende alla fine. Sono mesi che deve andare al Monumental con la scorta, ore prima della gara, e che se ne va prima della fine. Nell’ultimo superclasico , un mese fa, insultato dai tifosi, è dovuto scappare dal palco all’80’. Così è caduto l’impero del Kaiser: nella ricerca ossessiva di una cospirazione, non si è accorto di essere il più grande cospiratore contro se stesso.