Paolo Griseri, la Repubblica - Affari & Finanza 18/11/2013, 18 novembre 2013
GHISOLFI E L’ORO VERDE COSÌ IL NUOVO ETANOLO PRODUCE PLASTICA DA CANNE E PAGLIA
Torino Un giorno arrivarono a Rivalta Scrivia gli uomini della Coca Cola. Sembra una barzelletta e invece è l’inizio di una storia incredibile, una storia italiana. La racconta Guido Ghisolfi, vicepresidente della Mossi&Ghisolfi di Tortona, azienda leader nel mondo per la produzione di etanolo e polimeri di seconda generazione. «Siamo arrivati dove siamo perché abbiamo potuto investire centinaia di milioni e darci un obiettivo di rientro di 4-5 anni». Il contrario del corto respiro del piccolo è bello che fino a poco tempo fa sembrava la ricetta vincente dell’economia italiana: «Il piccolo è bello se l’investimento è ridotto e deve per forza avere tempi di rientro intorno ai due anni. Ma nel nostro settore non possiamo permettercelo », dice l’ingegner Guido, figlio di Vittorio, uno dei fondatori della società con sede a Tortona, la cittadina del basso Piemonte fino ad oggi nota soprattutto per la logistica e la famiglia dei Gavio, signori delle autostrade. Dunque nel 2005 gli uomini della Coca Cola arrivano a Rivalta Scrivia: «C’erano già stati scherza l’ingegnere - ma quella volta vennero a chiederci ciò che appariva impossibile». La Mossi&Ghsolfi era diventata nel tempo uno dei principali produttori mondiali di Pet, la plastica che serve alla produzione delle bottiglie. Naturale che i signori di Atlanta fossero tra i clienti principali. Quella volta arrivarono per annunciare che avevano un obiettivo ambizioso: «Entro
il 2020 i nostri prodotti devono nascere da fonti rinnovabili ». Sembrava un azzardo: «Solo il 12-13 per cento delle bottiglie di plastica riciclate ritorna bottiglia», spiega Ghisolfi. Un problema legato alla struttura chimica dei polimeri ricavati dal petrolio. «Abbiamo scelto di percorrere una strada decisamente nuova - racconta l’imprenditore piemontese - e ora i frutti cominciano a vedersi». La scelta è stata quella di partire dalle biomasse. «Abbiamo assunto 250 giovani ricercatori, uno alla settimana dal 2007 a oggi. Abbiamo investito 200 milioni di euro e ci siamo dati l’obiettivo di cominciare a produrre entro 5 anni». E’ nato così lo stabilimento di Crescentino, vicino a Vercelli. Produrrà etanolo di seconda generazione. La differenza non è secondaria: «Quando si è cominciato a produrre bioetanolo - racconta Ghisolfi - lo si è fatto utilizzando prevalentemente la canna da zucchero. Che veniva coltivata e, al momento del raccolto, si sceglieva: o finiva in zucchero o si trasformava in carburante ». Da oggi non è più così: «Non sottrarremo più cibo per produrre etanolo - sintetizza Ghisolfi - perché con i nuovi impianti studiati dai 250 ricercatori di Rivalta Scrivia si può produrre l’etanolo dai residui della lavorazione dello zucchero». Una svolta. Non solo in Brasile, principale produttore mondiale di zucchero, dove, a parità di materia prima vegetale, potrebbe aumentare del 40 per cento la produzione di etanolo. Ma anche in Europa: «L’etanolo - spiega Ghisolfi - è solo il primo dei prodotti della filiera verde che si può ottenere con la nostra nuova tecnologia». L’ultimo di quella catena è la plastica, il Pet che si ricava partendo dalla lignina, uno dei derivati della lavorazione dell’etanolo. Su questo ultimo passaggio del nuovo processo produttivo stanno lavorando i laboratori pugliesi del gruppo Mossi&Ghisolfi. Quando il processo sarà messo a punto, si potrà rispondere alla richiesta avanzata ormai otto anni fa dagli uomini della Coca Cola. Perché con la plastica ricavata dalla filiera verde, tutta la produzione della società di Atlanta verrà da fonti rinnovabili. La storia della Mossi&Ghisolfi non finisce qui. E’ una storia avventurosa, certo, ma anche economicamente assai vantaggiosa. In poco tempo la società con sede a Tortona è diventata il secondo colosso nazionale della chimica. Fattura 3 miliardi di dollari l’anno, occupa 2.200 dipendenti e opera in sei paesi (India, Cina, Usa, Brasile, Messico e Italia). Ora la prospettiva è quella di entrare anche in Italia nel mercato dei carburanti e dell’energia. «Una delle critiche che sono state sempre rivolte alle aziende che lavorano con le biomasse - ricorda Guido Ghisolfi - è quella di sottrarre terreno alle coltivazioni alimentari. Purtroppo questo non è mai stato un problema in Italia. E con il nuovi impianti di seconda generazione non è più un problema nel mondo». In Italia sono coltivati circa 100.000 chilometri quadrati di terreno, 10 milioni di ettari, un terzo dell’intero territorio nazionale. In base ai dati forniti dalla multinazionale piemontese, ogni anno viene abbandonato il 10 per cento dell’ammontare dei terreni agricoli, circa un milione di ettari: «Basterebbe coltivare quel milione per produrre biomasse e la produzione agricola nazionale non subirebbe alcuna conseguenza ». Ma c’è un problema in più: l’Italia non è il Brasile, da noi la canna da zucchero non si coltiva. «Per far funzionare i nostri impianti - spiega Ghisolfi - sono sufficienti le canne che si trovano sulle rive di laghi e fiumi e che possono essere facilmente coltivate su terreni incolti». Il nuovo impianto di produzione è a Crescentino, su una parte dei terreni della Teksid. In origine era stata trovata una diversa sistemazione, vicino ad Alessandria, ma le resistenze delle amministrazioni locali avevano consigliato di lasciar perdere. Anche a Crescentino non sono mancate perplessità: «Il timore dicono in azienda - era che noi volessimo realizzare un inceneritore. Abbiamo dovuto spiegare con chiarezza e molte volte che il nostro impianto funziona diversamente». Oggi però il risultato si vede. L’impianto è stato recentemente inaugurato. Per il momento non funziona ancora con le canne ma con la paglia di riso. Crescentino, nel vercellese, è circondata dalle risaie e la materia prima certo non scarseggia: «In un primo momento i contadini si stupivano che fossimo disposti a pagare quello che loro considerano uno scarto di lavorazione». Sul medio periodo però l’obiettivo è quello di passare alla canne. Anche per una precisa filosofia aziendale: «Cerchiamo in tutti i modi di sganciare la produzione dell’etanolo dal food». Non è solo una questione di sensibilità sociale. Produrre carburanti utilizzando gli scarti dell’agricoltura per gli alimenti significa legare indirettamente la produzione all’andamento dei prezzi e della domanda di cereali. Un legame rischioso che alla Mossi& Ghisolfi preferiscono spezzare. Il progetto (e il notevole investimento) sta dando i suoi frutti anche in termini di vendita della nuova tecnologia. A Tortona stimano che nel prossimo futuro gli impianti simili a quello di Cescentino potranno essere 2.500 in tutto il mondo. E che circa 200 potranno essere realizzati in Italia: «Siamo orgogliosi conclude Ghisolfi - di essere i primi al mondo in questa tecnologia e siamo soddisfatti perché sappiamo che oggi la concorrenza è due anni indietro rispetto a noi. Ma non possiamo certo sederci sugli allori. Continueremo per questo ad investire nella ricerca». In fondo a tutta la storia resta la soddisfazione personale del manager piemontese: «Recentemente abbiamo venduto un nostro impianto ai brasiliani che sono leader mondiali nella produzione di etanolo. E’ stato un po’ come vendere un frigorifero a un lappone».