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 2013  novembre 18 Lunedì calendario

LA “SPINTARELLA”, DA CICERONE A MUSSOLINI


Il porgitore della presente”: è la classica formula d’apertura della lettera di raccomandazione dell’Ottocento e del primo Novecento. Ed è anche il titolo di un libro dedicato appunto al vezzo, o al malvezzo, della raccomandazione, edito da una neonata casa editrice di Segrate, “Triangulus”, in una preziosa edizione numerata e corredata di raffinate illustrazioni. Il volume è stato scritto “a sei mani”, e gli autori – un collezionista di autografi, Terzo Maffei, un commentatore, Sergio Coradeschi e una biografa, Paola Bitozzi – inaugurano con esso un “genere letterario” del tutto inedito: l’antologia delle missive commendatizie.
Ne esce un ritratto in agrodolce dell’Italietta della “spintarella”, una carrellata ironica e impietosa di personaggi celebri colti nell’atto di raccomandare o di farsi raccomandare. Ci sono tutti, anche i più insospettabili: da Ungaretti a Tommaseo, da Rossini a Malaparte. Ma su tutti svettano, come osservano gli autori, “tre personaggi fondamentali: il raccomandato (inerme e sovente derelitto), il raccomandante (umile e cerimonioso), il raccomandatario (elogiato e circuito)”.
Le origini della raccomandazione si perdono nella notte dei tempi. Era già in voga all’epoca degli antichi Romani, se Cicerone, in una lettera, scriveva con una cert’aria di stizza: “Quella persona deve capire che la mia non è una raccomandazione qualsiasi”. A quei tempi si chiamava “littera commendaticia”; nel ’700 si chiamò “lettera di preghiera”; in Francia la chiamano con un’espressione più colorita, “coup de piston”, colpo di pistone.
Neppure il Fascismo riuscì a estirpare questo vizio nazionale, nonostante in tutti gli uffici del Regime campeggiassero enormi cartelli con su scritto, “Non si fanno raccomandazioni, è abolita la stretta di mano, è abolito il lei, il fascista sale a piedi”. Il fascista magari saliva a piedi, ma le raccomandazioni le faceva.
A cominciare da Mussolini, seguito a ruota dai più alti gerarchi del Regime: Balbo, Farinacci, Thaon di Revel, Grandi, Bottai, Galeazzo Ciano. I primi due facevano raccomandazioni “specializzate”: il maresciallo dell’Aria Italo Balbo raccomandava un figlio d’aviatore; il bellicoso Farinacci un giovane reduce dell’Africa Orientale. Quanto a Bottai e Ciano, nelle loro lettere si premuravano di far notare che il loro protetto era “con prole e di razza ariana”.
E Starace aveva un bel ripetere, nei suoi “Fogli d’Ordine” del Partito, che la raccomandazione “è vietata ai fascisti, i quali non devono né dedicarsi ad essa, né subirla” perché “il costume fascista ha abituato a contare esclusivamente sulle proprie forze”. Nell’archivio privato del Ministro delle Finanze Mosconi (1928-32) è stato addirittura rinvenuto un timbro con le voci “Raccomandato, Raccomandante; Persona a cui si raccomanda, Argomento”.
Ma il libro riporta innumerevoli lettere di raccomandazioni che risalgono a prima che l’Italia vestisse la camicia nera. Una, del 1855, suona così: “Caro Pippo, ti raccomando il latore di queste linee... Dovresti dargli una commendatizia per Brugner, pittore addetto alla corte della Regina (d’Inghilterra, n.d.r.): a lui pure raccomandasti Monelli e trovò lavoro. Il latore della presente è pittore”. Firmato: Felice Orsini. Tutto normale, se non fosse per il mittente e il destinatario. Felice Orsini è il noto rivoluzionario del nostro Risorgimento, quello che attentò alla vita di Napoleone III e per poco non mandò in fumo l’alleanza del Piemonte con la Francia che Cavour andava tessendo da anni. E “Pippo” è il nome di battaglia di Giuseppe Mazzini.
Le sorprese del libro non ancora sono finite. C’è una lettera del maestro Pietro Mascagni, che raccomanda al direttore del Teatro Carlo Felice di Genova un “corno” (ossia un orchestrale che suona l’omonimo strumento) per l’esecuzione della sua ultima opera. “Le Maschere”. E, a proposito di musicisti, c’è una lettera di raccomandazione del Direttore generale della Pubblica Sicurezza in favore di Giacomo Puccini, che ha chiesto agevolazioni di frontiera per raggiungere in Svizzera una bella e focosa baronessa austriaca. La signora Elvira Puccini a sua volta si raccomanda ad un conoscente perché convinca il marito (definito freddamente “il nostro amico”) a porre fine alle sue “scappatelle” d’Oltralpe.
Persino D’Annunzio e Pelloux riescono a stupire. Il “vate d’Italia” si prende a cuore la disavventura giudiziaria di un poveraccio. Mentre il generale e capo del governo, noto per la sua militaresca rigidità, dapprima rifiuta di promuovere a sottotenente un soldato raccomandato ritenendolo troppo povero per quel grado, ma poi ci ripensa e lo accontenta.
Il libro si arresta al 1945. le raccomandazioni, naturalmente, no, anche se oggigiorno non si raccomanda più a mezzo postale. L’Italia è rimasta quella di sempre: e in un paese che ha fatto della raccomandazione un rituale e del raccomandato quasi una professione, non ci sarebbe nulla di strano se un libro come questo desse vita ad una vera e propria letteratura.
Chi non ha una raccomandazione nascosta nell’armadio? Malcostume, mezzo gaudio, scherzava Totò. Forse l’unico rimedio è proprio questo: riderci sopra, ironizzare, “affogarla nel ridicolo”. È il messaggio del libro: le crociate moralizzatrici “alla Starace” lasciano il tempo che trovano e ogni tentativo di “bandire le lettere di raccomandazione in via ufficiale... è tempo perso”. È più che un consiglio. È una raccomandazione.