Masolino D’Amico, La Stampa 18/11/2013, 18 novembre 2013
DORIS LESSING QUEL CHE LE DONNE NON SCRIVONO
Nella sua lunga e attivissima vita, da lei stessa rievocata fino al 1949 in Sotto la mia pelle (1994) e fino al 1962 in Camminando nell’ombra (1997), Doris Lessing ha conosciuto parecchie realtà sociali, dalla Persia oggi Iran dove nacque, alla Rhodesia del Sud oggi Zimbabwe dove crebbe, all’Inghilterra dei suoi genitori e della sua lingua.
Allo stesso modo ha abbracciato e poi abbandonato più ideologie, o meglio più mistiche, dal comunismo degli anni giovanili al sufismo islamico della maturità, fino ad approdare alla diffidenza nei confronti di tutte («troppe ne ho viste tramontare»).
Queste prese di coscienza si riflessero nella sua produzione letteraria, che si può dividere in periodi influenzati dal radicalismo (fino alla metà degli anni Cinquanta), quindi dallo psicologismo, infine dal pensiero orientale. Nel femminismo, col quale peraltro fu e viene ancora spesso identificata, Doris Lessing (nata Doris May Tayler: il cognome con cui firmò la maggior parte dei suoi libri è quello del secondo marito, dal quale divorziò nel 1950) affermò spesso di non riconoscersi: ed è vero che benché spessissimo figure di donne siano al centro della sua narrativa, di rado la loro esperienza è mostrata come un esempio da seguire. Più spesso si denuncia, più o meno esplicitamente, la passività delle donne, la loro incapacità di governare il proprio destino.
La protagonista dell’Estate prima del buio (1973), per esempio, è una quarantacinquenne sposata che, avendo la possibilità di un inatteso periodo di libertà e di emancipazione, ne approfitta per lavorare e anche per concedersi un flirt extramatrimoniale, ma poi emerge da entrambe le esperienze distrutta nel morale e nel fisico, ricavandone di positivo solo la chiarezza con cui vede la figlia avviata a un destino coniugale deprimente. Quanto a La brava terrorista (1985), costei è una velleitaria, sfruttata dagli inetti terroristi ai quali si è unita per un revanchismo dogmatico di cui ci è mostrata tutta la futilità. Sempre una donna, stavolta una scrittrice, è al centro del precedente e al tempo suo (1962) assai acclamato Taccuino d’oro, in cui colei che scrive tenta di far confluire quattro resoconti parziali della propria esistenza, il taccuino nero con le sue esperienze africane, quello rosso con quelle comuniste, quello giallo con gli appunti per un libro in fieri, quello blu coi propri pensieri e la propria vita interiore.
Doris Lessing si era rivelata trentunenne nel 1950, proprio l’anno del secondo divorzio, con L’erba canta, romanzo di ambiente africano in cui già comparivano alcuni temi destinati a rimanere costanti in tutta la sua vasta e tanto varia produzione successiva, il principale dei quali è quello del trantran più o meno tranquillo di una donna, improvvisamente sconvolto da un avvenimento nuovo, talvolta in apparenza minore, ma dopo il quale nulla sarà più come prima. Qui, secondo la Lessing, la tragedia dell’Africa in cui i bianchi comandano e i neri obbediscono è che qualsiasi variazione di questo rapporto, qualsiasi tentativo individuale di riempire il baratro tra i due gruppi è peggiore del male, in quanto serve solo a aumentare le tensioni (e la storia comincia col finale, ossia quando la protagonista ha già incontrato la morte violenta che in fondo le spettava). Molti racconti ripropongono in sintesi situazioni analoghe, con un episodio che cambia un destino. Lo stesso avviene anche nel notorio Diario di Jane Somers, dove una donna di successo entra per caso in contatto con una ripugnante barbona barricata in un tugurio, e suo malgrado, ma con un crescendo di affascinata attrazione, si trasforma in una missionaria del volontariato.
Nessuna formula potrebbe tuttavia raccogliere tutti i circa cinquanta libri di narrativa dell’eterogenea scrittrice. Alle storie di donne, più o meno amare e con sfondi variabili, vanno infatti affiancati, tra gli altri, almeno la serie Figli della violenza (1952-69); tre memorabili volumetti per gli appassionati di felini (Gatti molto speciali, 1967, Particularly Cats and Rufus the Survivor, 1993, non tradotto, La vecchiaia di El Magnifico, 2000); e i cinque romanzi di fantascienza della serie Canopus in Argos (1979-1983), che, pare, scandalizzarono gli accademici di Stoccolma, i quali per assegnare il Nobel (2007) alla loro autrice avrebbero atteso un suo ravvedimento, ma che, in quanto apologhi sulle sfide che attendono una civiltà avanzata, costituirono per la Lessing il banco di prova del sufismo appreso dallo scrittore angloindiano Idries Shah. Per un piccolo campione fantascientifico della fondamentale sfiducia con cui questa testimone di più epoche ha sempre contemplato l’animale uomo si veda il racconto, in Le storie di un uomo che non si sposava (1989), in cui alcuni esseri superiori avvisano la città di San Francisco di un imminente cataclisma che la travolgerà, ma, con loro sommo stupore, senza trovare ascolto.