Lorenza Castagneri, La Stampa 18/11/2013, 18 novembre 2013
SEMPRE MENO PANE IN TAVOLA SIAMO TORNATI INDIETRO DI 150 ANNI
La questione è, in sé, qualcosa di clamoroso: il pane non è più l’alimento base della dieta. E poco importa se poeti e cantanti in un passato più o meno recente lo hanno celebrato. Poco importa se nei modi di dire resta il fondamento del nutrimento. Biove, rosette e micconi piacciono meno di cinque anni fa. E non è una questione di crisi. E’ il gusto che cambia. Sulle tavole italiane c’è tutt’altro. Ci sono verdura, carne, pesce. Ci sono crackers e grissini che si conservano più facilmente e durano più a lungo. Ma pane ce n’è sempre meno. Se ne mangiano al massimo due fettine al giorno. Niente di più. Il consumo più basso dall’Unità d’Italia a oggi.
Per la verità, non c’è molto da stupirsi. Dati di Coldiretti raccontano che il trend discendente è costante. Nel 1980 si mangiavano 230 grammi di pane a testa al giorno. Dieci anni dopo si è passati a circa 2 etti. Nel 2000 la media è di 180 grammi, nel 2010 di 120 e nel 2012 di 106. Fino ad arrivare ai 98 grammi di oggi. Un decimo di quanto si mangiava nelle campagne nel 1861: circa un chilo di pane al giorno pro capite. Una differenza abissale. «Il punto è che lo stile di vita si è modificato tantissimo. All’epoca dell’Unità quello era quasi l’unico alimento. Oggi non è più così. E’ ovvio che il suo consumo si sia molto ridotto», osserva Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti. Che spiega: «In passato il pane si consumava anche a colazione e a merenda. Bastava spalmarci sopra un po’ di burro e di marmellata. La società è cambiata e preferisce biscotti e merendine. O tende a fare scelte più ragionate: quando si mangiano pasta o riso, si cerca di non abbinare altri farinacei. Ormai il pane non è più l’unica fonte di carboidrati».
Nel 2013, il 42 per cento degli italiani ha ridotto le quantità di pane acquistate, mentre otto su dieci hanno tagliato la spesa dal fornaio. Sono lontani i tempi in cui la nonna, dopo colazione, cascasse il mondo, usciva di casa con la borsa sotto il braccio per andare a comprare il pane ancora caldo nel negozio all’angolo. Oggi è una minoranza chi va dal fornaio tutte le mattine: il 37 per cento. La media è di cinque volte alla settimana. E gli altri giorni? Semplice. Si mangia il pane del giorno prima. Un sacrilegio, per molti. Ma non per tutti. Più di 4 italiani su 10 hanno mangiato pagnotte avanzate. Più o meno lo stesso numero di quanti lo surgelano per consumarlo quando ce n’è bisogno.
Se poi si vanno a vedere i prezzi, si scopre che è Venezia è la città italiana più cara in quanto a costo del pane: 4,65 euro a chilo. In generale i valori variano tra i 3,80 euro al chilo a Bologna, 2,94 a Torino, 2,74 euro al chilo a Palermo, 2,43 a Roma e 2,67 a Bari, fino al minimo di Napoli: 2,01 euro. Ma la crisi, in questo caso, non c’entra o, al massimo, incide poco. «Chi ama il pane, lo acquista comunque, anche se è caro – prosegue Bazzana -. Anzi. Magari si opta per un prodotto di maggiore qualità. Si preferiscono pani speciali, senza grasso o conditi con pomodoro fresco, olive e uvetta. Si spende un po’ di più, ma si compra meno».
Nel complesso, la spesa familiare per pane, grissini e cracker in Italia ammonta a quasi 8 miliardi all’anno. Le famiglie italiane hanno speso in media 30,15 euro al mese per acquistare il pane, grissini e cracker. Una cifra che rappresenta appena il 6,4 per cento della spesa alimentare media mensile, pari a circa 468 euro.
Ma da rilevare c’è anche un’altra tendenza: il grande ritorno del pane fatto in casa. Il 18 per cento degli italiani è un «panettiere fai-da-te». Del resto, non servono più i grandi forni a legna di una volta. Ormai basta quello di casa e un’impastatrice. Ce ne sono di tutte le taglie.
Senza dimenticare i corsi di panificazione che ormai proliferano in tutte le grandi città. Almeno uno produce quanto pane vuole. E non si incorre in uno dei dispiaceri più grandi: doverlo buttare.