Elvira Serra, Io Donna 16/11/2013, 16 novembre 2013
“DOVE MI CHIAMANO IO RICOSTRUISCO”
Come vuole essere chiamata? «Sempre e solo ingegnere, perché sono un’ingegnere con l’apostrofo! In questo caso le donne hanno qualcosa in più rispetto ai colleghi». Manuela Manenti va subito al punto. Pragmatica per definizione di genere; negata in cucina: «Sono riuscita a zuccherare per ben due volte i funghi porcini che mi ero azzardata a comperare; a bruciare la carta forno; a sciogliere un cucchiaio di plastica mentre leggevo rimestando la zuppa»; il suo compito è ricostruire, e in fretta, là dove una calamità ha distrutto. Sarebbe la signora Wolf, come in Pulp Fiction: risolve problemi. Racconta: «A gennaio del 2009 Guido Bertolaso, allora a capo della Protezione civile, mi convocò per diventare direttore generale della squadra di missione infrastrutture e strutture post emergenziali. Lasciai la società di ingegneria di cui ero socia, mi dimisi da presidente dell’ordine degli ingegneri di Pesaro Urbino, e come san Paolo sulla via di Damasco seguii la chiamata».
Il resto è cronaca. una scossa di magnitudo 6,3 sconquassa la terra dell’aquilano alle 3.32 del mattino. Era il 6 aprile del 2009. ci furono 308 morti, oltre 1500 feriti, dieci miliardi di euro di danni stimati. Manuela parte subito. La priorità sono le case e gli istituti, per poter ripopolare l’Aquila e i piccoli centri devastati dal sisma, Onna in testa. Il risultato sono 27 scuole prefabbricate e duemila casette di legno che ridanno almeno un poco di speranza in cinque mesi e, soprattutto, non fanno perdere un giorno di scuola ai ragazzi. «Ricordo certe visite notturne di Bertolaso in cantiere, alle tre del mattino, per far capire agli operai e a noi tecnici quanto fosse importante il lavoro di tutti. Con me era sempre severissimo e tagliente. Ma lo capisco: aveva un solo obiettivo, consegnare in fretta gli edifici. E poi mi aveva scelta lui, sapevo che mi stimava». Passa Bertolaso, arriva Franco Gabrielli. il rapporto di stima è immutato, ma il contratto di Manuela Manenti è in scadenza, e con la spending review non ci sono margini per la riconferma.
«Dovevo andar via il 30 giugno del 2012. Un mese prima c’è il terremoto in Emilia. Vengo dirottata lì, forte della mia esperienza in Abruzzo. Ora faccio parte della struttura tecnica del commissario delegato Vasco Errani, che ha chiamato in Emilia Romagna coloro che avevano operato in altri recenti sismi. Lo scopo, qui, è ricostruire scuole, municipi, biblioteche, casette, edifici pubblici». A differenza dell’Aquila, però, in Emilia ci sono sessanta giorni in meno per finire in tempo i lavori. «Le strutture le abbiamo fatte piu piccole: 58 scuole in tutto il territorio anziché 27 come all’Aquila. Sono tutte in classe energetica A, quindi i comuni hanno risparmiato, e collegando il fotovoltaico alla rete elettrica hanno anche guadagnato. Molti ci hanno chiesto di renderle definitive, possono resistere a una classe sismica di quarto livello, sono edifici strategici. Adesso, superata l’emergenza, ci stiamo occupando degli ampliamenti, come a Cavezzo, dove grazie al contributo di “un aiuto subito” dei lettori del Corriere della sera realizzeremo una palestra e un’aula magna, con un concorso che è stato presieduto da Renzo Piano e vinto dallo studio di Carlo Ratti».
E così la vita randagia di Manuela prosegue. «Ho due case, una a Pesaro, dove vivono i miei genitori e da dove sono partita; e una a Roma, dove vive mia figlia Francesca, architetto». Gianni, suo marito da più di 38 anni, anche lui ingegnere conosciuto all’università, si rassegna: del resto conviene che la moglie stia lontana dai fornelli. Lei nel poco tempo libero legge (ultimo libro: Il giardiniere tenace, di John le Carré), guarda la tivù (ha una passione per l’agente speciale di Ncis, Leroy Jethro Gibbs) e, ormai sempre meno a causa dell’emergenza continua, viaggia ovunque nel mondo «soprattutto nei Paesi un po’ difficili, prima che entrasse in guerra siamo stati in Siria». Nel suo lavoro ha potuto toccare con mano la generosità delle persone: molte delle strutture ricostruite hanno beneficiato di donazioni dal Giappone, dal governo del Canada, dalle multinazionali, dalla cittadinanza attiva, dai lettori del Corriere. Ma è una la cosa che le ha dato più emozione in questi anni: «Le facce degli studenti piccoli e grandi quando rientravano in una scuola nuova e, soprattutto, sicura e i volti degli anziani quando ricevevano le chiavi delle loro nuove casette». È allora che la stanchezza non si sente più. E si capisce che sì, ne è valsa la pena.