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 2013  novembre 19 Martedì calendario

RAVANELLI: «CI VOLEVA PAZIENZA»

«La Ligue se la giocano Psg e Lille, il Monaco è un gradino sotto. In Italia vince ancora la Juve. Che farò io? Andrò in giro a documentarmi: l’esonero di Ajaccio è una ferita aperta, ma pure una esperienza importante. Sono pronto a ripartire, non ho paura della gavetta: i risultati si ottengono faticando. Ecco perché mi rimetterò in discussione, anche in B. L’importante è che ci sia un programma serio». Parole di Fabrizio Ravanelli, passato dal mare della Corsica alle colline umbre. L’amarezza per aver perso troppo presto la sua prima panchina da pro è evidente. Solo la famiglia e le uscite con la bici («Sport magnifico: ti fa sentire vivo. Chi è più forte tra me e Guidolin? Io, ma ho il vantaggio degli anni in meno») riescono a restituirgli il sorriso.
«Ho dato tantissimo all’Ajaccio: aprivo l’ufficio alle 7, andavo via di sera. Col mio staff abbiamo impostato il rapporto in modo franco. Forse sottovalutando l’ambiente: in Corsica ci sono abitudini radicate, anche sul lavoro. Chiedere sempre il massimo negli allenamenti è stato un boomerang, ma sono convinto che bastava avere pazienza. Non ho mai schierato la formazione tipo. Prendete gli infortunati Eduardo e Faty: potevano fare la differenza. I giocatori non volevano il mio esonero: vorrà dire qualcosa...». Frecciata al patron? Non è così. «Ci sta la scelta del club quando i risultati non arrivano. Devo ringraziarli per la fiducia. Sono piccoli, ambiziosi e con uno stadio di proprietà. Tengono molto al settore giovanile, ho fatto esordire ben 6 ragazzi. Segnatevi questo nome: Gonçalves. Ha 19 anni, è un potenziale Pirlo più dinamico. Da prendere subito».
Modelli? Conte e Sacchi
Ajaccio è il passato. Lo sguardo va al futuro: «Credo senza presunzione di poter far bene. I modelli da seguire? In Italia Conte e Montella. Il primo è un fuoriclasse, può diventare tra i top 3 d’Europa. Ha capacità straordinarie: infonde nel gruppo quell’alchimia necessaria per vincere. Mi piace molto pure Montella: la sua idea di calcio è spettacolare, ma senza perdere equilibrio. Altri big sono Guardiola, Spalletti, Mourinho. Trovo interessante come gestiscono l’aspetto tecnico e la comunicazione». Questi i maestri, ma Ravanelli ha già idee chiare. «Voglio una squadra che mi somigli. Deve lottare su ogni pallone, deve saper soffrire, unita, deve esserci un dialogo aperto. Un tecnico ha il dovere di prendere delle decisioni, ma deve spiegarle. Ecco perché ritengo Sacchi l’allenatore più importante che ho incontrato. Ha cambiato il mio modo di pensare, pure nel privato. Poi c’è Lippi. Chi riporterei in campo tra i miei ex compagni? Baggio, era unico». L’ultimo pensiero è per la polemica sul doping: «La mia vita è fatta di sacrifici, sudore e senza macchia. La squadra prendeva integratori da supermercato su indicazione del medico. Altro che robe proibite. La cosa più stucchevole è stata la gran cassa sulle presunte accuse di Hengbart, frutto solo della fantasia di alcuni giornalisti, ma poi quando lo stesso giocatore ha puntualizzato, smentendo ciò che era stato interpretato strumentalizzando le sue parole, la notizia è stata ignorata a differenza della falsa. Una storia che mi ha fatto molto più male dell’esonero».