Francesco Archetti, La Gazzetta dello Sport 19/11/2013, 19 novembre 2013
ERA IN NAZIONALE CON KHEDIRA, È MORTO IN SIRIA DA JIHADISTA
«Le riflessioni profonde sono forse cominciate dopo un serio infortunio al ginocchio», ha raccontato ieri Harun Arslan che non è un procuratore qualsiasi. L’agente di Joachim Löw, allenatore della nazionale, curava anche un ragazzo nato in Germania nell’87, con origine turca e religione musulmana. Lo portò alla squadra B dell’Alemania Aachen, cinque anni fa, «ma nelle giovanili aveva giocato per Amburgo, Leverkusen, Hertha e Hannover. Aveva talento e carattere». Tanto da venir chiamato nelle juniores tedesche: 7 presenze tra Under 16 (5) e Under 17. Arslan perse i contatti con il ragazzo, come i compagni famosi che adesso lo ricordano. Kevin Prince Boateng ha scritto: «Riposa in pace, non dimenticherò i tempi passati insieme. Eri un vero amico». Ma poi, come tutti gli altri, l’ex borussiano Marc-Andre Kruska o l’ex del Bayern Michael Görlitz, anche Boateng ha ammesso, sempre via twitter: «Quello che è successo dopo il calcio non lo so e non posso verificarlo». La cronaca recente è da ieri pubblica e luttuosa. Il quotidiano Bild ha scoperto la morte del ragazzo che giocava anche con Sami Khedira o Dennis Aogo, arrivati dopo alla nazionale vera. Una fine cruenta e da guerrigliero, avvenuta l’11 ottobre scorso in un villaggio vicino a Azaz, due chilometri a sud del confine tra Turchia e Siria, durante un bombardamento dell’esercito di Assad. Il fratello Mustafa ha detto: «I mujaidin di Azaz mi hanno raccontato che ha lottato come un leone», ma poi ha negato l’appartenenza terroristica: «Stava trasportando medicine». La sua famiglia, la moglie Gülsum, 23 anni, e i figli piccoli Abdullah (3 anni) e Abdul-Rahman (10 mesi) sono alla ricerca del corpo o di notizie più dirette. Si erano trasferiti in zona con il capofamiglia.
Dal calcio al mitra
La carriera calcistica è finita all’inizio di luglio del 2008. Il ventenne Burak decide di dedicarsi per sempre alla causa religiosa: l’anno dopo è segnalato tra i più attivi di un gruppo di salafiti radicali che fanno base nella moschea di Wuppertal, il paese natale di Karan. Come racconta Die Welt , il gruppo parte nell’aprile del 2010 per unirsi a una cellula di Al Qaeda nella zona del confine afghano-pachistano. L’ex calciatore torna poi in Germania dove è messo sotto controllo dai servizi segreti, adesso era pure indagato per associazione terroristica. Si unisce poi al gruppo islamico «Millatu Ibrahim»; in un video su youtube, mitra in mano, chiarisce la sua appartenenza, ha un nome di battaglia che tradotto suona cosi: «Padre di Abdullah il turco». Un suo ex allenatore, Marcus Olm, ha riferito che il difensore-centrocampista «era molto religioso, pregava cinque volte al giorno in qualsiasi posto ci trovassimo». Ha scelto la lotta, non il calcio.