Antonello Caporale, Il Fatto Quotidiano 17/11/2013, 17 novembre 2013
FAR WEST LATINA LA MANGIATOIA DAL CUORE NERO
Non confondere mai l’insolito con l’impossibile. Non scambiare mai Latina con una città. Centro di raccolta e smistamento di dialetti locali, è il punto geografico dove veneti e friulani, emiliani e marchigiani, seguiti dai napoletani, calabresi, siciliani, rumeni e infine albanesi sono confluiti e poi si sono espansi: chi a nord; chi a sud dell’Agro. I primi per bonificare le paludi e trovare il modo di sfamarsi negli anni del Duce, quegli altri, immigrati della seconda e della terza ondata, per affinare l’arte di far soldi, alcuni di essi con la spiccata propensione di ridurre in un clic (qui inteso nel suono del tamburo di una pistola) il tempo della provvista.
Il potere dei boss,
il fantasma del Duce
Latina ha solo 81 anni, conta 120 mila abitanti, è di ferma e indiscutibile indole fascista (l’amatissima Littoria!), ma di facili costumi. La giovincella è infatti assai viziosa e in questo spicchio laziale arato dai coloni, ma trascurato dalla stampa e dalla tv, si produce la più estesa e malandrina farcitura di criminalità organizzata, delinquenza finanziaria e devianza politica. Una ragnatela di boss scompone la gerarchia sociale e a volte si sovrappone al ceto dirigente rendendo incerto il confine tra mondo legale e illegale. Walter Veltroni, quando lesse le pagine d’accusa della locale prefettura sul “sistema Fondi”, il Comune come sede dello snodo cruciale della politica pontina, ebbe un soprassalto. Non si aspettava che nei dintorni di Sabaudia, dove lui e tanti vip romani trovavano e trovano le meravigliose dune ad attenderli nel weekend, si fosse sviluppato un club di altissimo malaffare. “Il livello di commistione, l’intensità dell’intreccio tra criminalità e politica, tra clan e vita quotidiana è tale che le famiglie della ‘ndrangheta, della camorra, ma anche pezzi di Cosa Nostra arrivati nel-l’Agro Pontino negli anni Settanta perché mandati al confino controllano tutto, dalle pompe funebri agli appalti, dal Mof, il mercato dell’ortofrutta più grande d’Europa, alle concessioni urbanistiche in aree con varianti vantaggiose”. Fondi, per farvi capire, è l’unico municipio italiano su cui si sono abbattute 500 pagine di accuse torride e circostanziate da parte di un prefetto della Repubblica, senza che il governo sia riuscito a trovare un modo per cogliere l’invito a scioglierlo. Il ministro dell’Interno dell’epoca, l’integerrimo Bobo Maroni, quello che la propaganda della Lega avrebbe poi definito come il più duro ministro di Polizia, al cospetto della città di Fondi si presentò in versione coniglio, producendo il solito fenomeno gassoso della politica: bollicine al posto dei fatti. Pur di non turbare il senatore Claudio Fazzone, dominus del Pdl e dell’Agro, iniziò a cincischiare, traccheggiare, trasformare il diritto nel rovescio. E Fondi non fu espugnata dalla polizia, a conferma che in qualche modo la classe non è acqua. Resta la domanda su come sia potuta divenire il crocevia di interessi criminali, punto d’incrocio tra i diversi kit regionali del malaffare: le famiglie dei Casalesi e quelle ‘ndranghetiste dei Tripodo. Resistono perciò le allusioni, le velature sull’ambiguità del ceto politico, sulle amicizie e la forza di questo senatore Fazzone (noto per essere stato in tempi lontani autista di Nicola Mancino) che tutto può. La Polverini, quando volle scalare la Regione, dovette chiedere voti a lui e li ottenne. In un fantastico comizio in quella terra, riuscì a non dire una parola sulla mafia. Si presentò col suo sorriso imbelle e raccolse sorridendo quel che Fazzone le aveva garantito. Fazzone, il ras delle tessere, l’onnipotente delle clientele. Chiacchieratissimo, è finito sotto processo per le sue corrispondenze epistolari: non erano lettere d’amore, ma professionali segnalazioni di clienti in attesa di sfamarsi. Lui, orgoglioso: “Tirate fuori le prove e poi parlerete”. Il Fatto Quotidiano nei giorni scorsi le ha tirate fuori le prove, cioè le lettere. Fanno parte di una fitta corrispondenza con il dirigente dell’Asl Benito Battigaglia. È tutto un “caro Benito”, un prestampato dove solo i nomi dei raccomandati e le funzioni specificate mutano. Fazzone è così, ma Armando Cusani, la nuova stella del firmamento del centrodestra, è un gradino meglio. Presidente della Provincia di Latina, già sindaco di Sperlonga, un futuro in Parlamento assicurato, è appena stato sospeso dalle funzioni: due condanne di troppo (abuso d’ufficio e concorso in abuso), per un totale di tre anni e due mesi in primo grado, hanno costretto l’attuale, prudentissimo prefetto a firmare il decreto di sospensione. Cusani, che al pari di Berlusconi sente il peso della persecuzione e del generale malanimo delle Istituzioni nei suoi confronti, ha rappresentato, nella più fedele filosofia del capo supremo, le proprie perplessità: “Quello emesso è un provvedimento esorbitante e grave. La legge Severino va valutata caso per caso”. Capito? Cusani, inarrivabile: “Non bisogna fare di tutta un’erba un fascio”. Poi, sempre più acuto: “C’è stata una mancanza di attenzione e sensibilità... Quando mi sono candidato non c’era la legge, che quindi non può essere retroattiva”. Un perfetto clone di Silvio, un berluscao meravigliao.
Gli affari d’oro
della “badante” del Cavaliere
Quando poi la politica si fa anche imprenditrice, i migliori scendono in campo. C’è la società dell’assessore provinciale e quella del parlamentare, in questo caso di una figura femminile conosciutissima dagli italiani. Mariarosaria Rossi, la signora minuta, dai capelli lunghi e biondi che sorregge il Cavalier Berlusconi standogli accanto in ogni inquadratura e in ogni suo atto, pubblico ma soprattutto privato. Immortale una sua frase intercettata nel periodo delle cene eleganti di Arcore: “Ancora bunga bunga? Ah no, io allora vado a dormì”. Donna di grande impatto (“Il mistero è scoprire quanto porto di reggiseno”) e per questo ritenuta da Silvio una presenza “anticongiunturale”, è cosciente della sua forza espressiva: “Il mio lato B è anche meglio del petto. Oddio e mo’ chi lo sente a Cicchitto?”. Mariarosaria, 41enne di Piedimonte Matese (Caserta), è dunque stata soprannominata “la badante” per le funzioni di accompagnatrice che svolge egregiamente. La signora è stata una delle poche a seguire il presidente persino nel diverso ramo del Parlamento. Era deputata, ma oggi è senatrice, a conferma dell’assoluta intimità col Capo (“un uomo privo di vizi”, ha riferito sotto giuramento agli straniti giudici del bunga bunga). A Latina la Rossi è presente con una società, la Euroservice (sede a Piedimonte Matese), che si è aggiudicata l’appalto del servizio di recupero crediti di Acqualatina, un casermone clientelare che gestisce l’acqua nell’Agro Pontino. La gara (valore 1,5 milioni di euro) è stata una passeggiata. Due ditte soltanto, scrive Latina Oggi, hanno fatto pervenire un’offerta (fatto curioso, ma non inconsueto: in almeno altri due appalti della stessa società le ditte in competizione, con tutta la fame del lavoro, non superavano il numero di due...) ma una di esse è stata esclusa per vizi di forma. Quindi una soltanto al traguardo, proprio quella di cui è socia la badante. Evviva! Le sembianze di una cupola politica che regola e controlla appaiono quindi nitide, e le figure di riferimento che si scorgono nelle tenebre pontine sono tre. Di Fazzone abbiamo detto, di Cusani pure. Resta Michele Forte, da Formia, altro centro nevralgico di potere e di voti. Forte è il patriarca di una famiglia dedita al bene comune e dunque incatenata alle poltrone. È stato senatore, è stato sindaco di Formia mentre suo figlio Aldo era assessore regionale. Ora, in regime di decompressione da stress, papà Michele è solo presidente del consiglio provinciale. Nella veste ha commentato le dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone, ex boss dei Casalesi, sui rifiuti tossici interrati dalla mala in provincia di Latina. “Schiavone è un comandante di merda”, ha detto irato papà Michele. Nella città di Forte risiede Ernesto Bardellino, fratello di Antonio, morto nel ‘98, nome d’oro dei Casalesi.
La febbre del pallone,
la domenica tutti allo stadio
Ma la Pontina non è solo la strada dei vizi e Latina non è unicamente il capoluogo dei predatori. In questi mesi sta attraversando uno stupendo momento di gloria. È il calcio, ancora il calcio, a entusiasmare e produrre un clima di orgoglio e rivincita. Finalmente l’Italia sta imparando a conoscerla: adesso che è in Serie B e si fa rispettare, e il suo centrocampo è tetragono, la difesa bardata sulle fasce da due mastini, un attacco vivo e voglioso di far gol, Latina riscopre una fede in se stessa che solo Mussolini aveva saputo mostrare così limpida, piena, indiscutibile. Siamo tutti nel pallone, e infatti anche la politica scende in campo. Pasquale Maietta, deputato di Fratelli d’Italia, è il vicepresidente del club posseduto da una imprenditrice, Paola Cavicchi.
Latina – larga come una donna di Botero – è un manifesto vivo dell’architettura futurista (inarrivabile il Palazzo delle Poste), e della devozione al Duce (il possente palazzo M ne è il segno). È piatta come un biliardo, ma nessuno va in bici. Esistono solo i Suv. Che si concentrano (c’è il più alto rapporto di auto/abitante, 74 su 100), si incolonnano verso piazza del Popolo, sgommano e strepitano per non perdere l’appuntamento con l’happy hour: l’Aperol, le tartine... Con le auto c’è anche un traffico indiscutibile di soldi. “Viviamo al di sopra dei nostri mezzi”, commenta Graziella Di Mambro, vicedirettrice di Latina Oggi, il quotidiano della città. Dell’usura e nell’usura lo sviluppo sostenibile, e anche la rappresentazione cinematografica che la inchioda al suo vizio d’origine. Paolo Sorrentino ha scelto proprio la Pontina per girare il suo Amico di famiglia, e il protagonista principale, Geremia de Geremei, nell’eccellente interpretazione di Giacomo Rizzo, è l’usuraio perfetto, figlio d’arte, il “Cuoredoro” romantico ma spietato. Non confondere mai l’insolito con l’impossibile era la frase che promosse il film e che avete letto all’inizio dell’articolo. Più di uno slogan un perfetto, circostanziato faro sull’urbe. Latina non ha un dolce tipico, né un suo dialetto. Non c’è l’autostrada e manca un eroe. Si deve accontentare di Tiziano Ferro, cantante dalla indubitabile forza espressiva. Poi niente. Se proprio si deve si arriva (però con un salto all’ingiù) alle curve di Manuela Arcuri, soubrette in chiara fase calante, o a quelle di Debora Salvalaggio, in gara per Miss Italia. Tutto qua. “Tutto qua un corno. Non mi piace che Latina venga dipinta come il luogo dei fetenti, la fogna d’Italia. La città sta nel medesimo gorgo di tutte le altre, ha le sue vanità, le sue debolezze, le sue porcherie, ma anche il suo lavoro, la sua storia, la sua grande bonifica. Fino a due anni fa sostenevo che noi fossimo più coglioni e criminali degli altri. Oggi invece dico: non più della media del Paese. Certo, vennero a colonizzarla non i migliori ma i peggiori, o i figli dei peggiori, i più disgraziati e poveri. Braccia da fatica non menti che illuminassero il pensiero di noialtri. Però resta un fatto: Latina ha una sua vitalità persino intellettuale, e una radice che in qualche modo parla al Paese”. Antonio Pennacchi, l’autore di Canale Mussolini, non s’arrende all’evidenza: “Certo, è l’unico Comune a non avere l’assessorato alla Cultura. Però...”. Però è anche vero che malgrado i Suv, la biblioteca comunale, l’unica, è assai frequentata e Feltrinelli ha fatto un buon affare ad aprire qui una sua libreria. “La mia città è brutta da vicino ma bella da lontano”, dice Chiara, fuggita a Roma. “La giudicavo insopportabile invece è solo un po’ noiosa. Ma alzi la mano chi conosce una provincia che non s’annoia”.
(2 - Continua)