Vittorio Sgarbi, il Giornale 17/11/2013, 17 novembre 2013
TUTTA LA MAGNIFICENZA DI DIO NEL TOCCO CHE CREÒ ABRAMO
Mentre Giorgione e Tiziano ricercano nella natura, in un ritrovato paradiso terrestre, le condizioni della felicità dell’uomo attraverso la musica, la poesia, l’amore, Michelangelo dipinge nel cielo delle idee, le origini dell’ uomo. Sulle volte della Cappella Sistina, tra il 1508 e il 1512, Michelangelo racconta la storia dell’umanità ante legem, prima che Dio desse a Mosè le tavole della legge. Michelangelo dipinge, con straordinario impegno, fra gli schieramenti di profeti, sibille e ignudi alcuni episodi del Genesi. La sua popolosa volta ricopre un cielo stellato affrescato da Pier Matteo d’Amelia, un’idea astratta, metafisica. Al centro della nuova decorazione vi è uno gli episodi più celebri dell’intera storia dell’arte: la Creazione di Adamo. Anche qui come nella Tempesta, nel Concerto campestre, il nudo. Non un nudo femminile, ma maschile, sensualissimo, nella posizione di un assopito che riprende coscienza. Corpo reale, definito con assoluta verità anatomica, nelle intenzioni di Michelangelo rappresenta l’inizio della vita, il momento in cui Dio lo anima, ovvero gli dà l’anima.
Molte furono le difficoltà, anche soltanto per un’agibile impalcatura, prima disegnata da Bramante, poi perfezionata dallo stesso Michelangelo. L’impresa fu faticosa e titanica. La leggenda immagina Michelangelo sui ponteggi sdraiato, «a cervice riversa». È certo che dovette lavorare con poca luce e con l’ausilio di candele e lampade. E certamente la testa doveva essere inclinata all’indietro, causandogli «grandissimo disagio», al punto che, quando scese, Michelangelo «non poteva leggere né guardare disegni se non all’ insù, che gli durò parecchi mesi». Ma il risultato è grandioso, nonostante lo sforzo e nonostante l’impazienza di Papa Giulio II. Nell’ottobre del 1512 Michelangelo scriveva al padre: «Io ò finitta la cappela che io dipingevo: el papa resta assai ben sodisfato, e l’altre cose non mi riescono a me come stimavo; incolpone e’ tempi, che sono molto contrari all’arte nostra».
Per quanto giudicasse i tempi contrari, l’esito è tale che, nella piena consapevolezza dell’uomo del Rinascimento, Goethe potè scrivere: «Senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formare un’idea apprezzabile di cosa un uomo solo sia in grado di ottenere ». L’Adamo di Michelangelo, come il suo Giona, si contrappone alle Veneri di Giorgione e Tiziano. Parla alla ragione prima che ai sensi, esprimendo un’idea di perfezione. Il suo Padre Eterno, nella Creazione di Adamo come nella Creazione degli astri e delle piante, è autoritario, minaccioso, sprigiona energia.
La posizione languida, torpida di Adamo, segnala il limite della condizione umana. Non si dirà mai abbastanza della incommensurabile distanza che separa il dito di Dio dalla mano di Adamo, che da quel contatto prende vita. E noi vediamo le dita di Adamo iniziare a muoversi, come per una trasmissione di energia. Ma è un contatto istantaneo, impercettibile, che rende la breve distanza fra il padre eterno e la sua prima creatura: quest’immagine celeberrima sigilla, con il racconto biblico, anche la concezione di Michelangelo nella sua essenza platonica.
Ai sensi emozionati di Tiziano, Michelangelo contrappone la ragione con cui intende, irrevocabilmente, l’altrimenti imprescrutabile pensiero di Dio. Ciò che non è consentito con le parole, essendo ineffabile, è possibile con le immagini. Un’ impresa così grandiosa, e anche nel difficile rapporto tra Papa Giulio II e Michelangelo, trovò subito consenso, anche rispetto alle altre decorazioni parietali immediatamente sottostanti, di Perugino, di Raffaello, di Cosimo Rosselli, di Botticelli. Un altro mondo. Un nuovo mondo. Tutti gli artisti che erano a Roma vennero in pellegrinaggio alla Sistina. Tra loro Raffaello, che ritrasse Michelangelo nella figura di Eraclito tra i filosofi in primo piano della Scuola di Atene nelle Stanze vaticane.
Non mancarono neanche le critiche, soprattutto all’epoca del Papa Adriano VI che, come ricorda il Vasari «già aveva cominciato... a ragionare di voler gettare per terra la cappella del divino Michelangelo, dicendo ell’era una stufa d’ignudi. E, sprezzando tutte le buone pitture e le statue, le chiamava lascivia del mondo e cose obbrobriose ed abominevoli ». Mai pensieri furono più perversamente insensati.