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 2013  novembre 17 Domenica calendario

L’ABITUDINE MALATA AL «PRESTITO FORZOSO»


È un gioco dal fiato corto. Chiedere ai contribuenti di versare in anticipo una percentuale superiore al totale, rischia di creare un cortocircuito, anche nei conti dello Stato. La misura dell’acconto 2013 è stata aumentata per evitare il salto dell’Iva dal 21 al 22 per cento, salto poi arrivato a ottobre. Gli aumenti degli acconti sono però rimasti in campo e, nel caso dell’Irpef (e dell’Irap versata da chi paga anche l’imposta sui redditi), vi rimarranno per sempre.
Basta questo per capire che il pendolo fiscale (aumento degli acconti per evitare altri ritocchi di imposte) non è mai un affare per il contribuente.
Ma c’è di più. Le manovre sugli acconti sono ormai una presenza fissa nel travagliato lavorio sulle imposte che caratterizza questo 2013. Gli aumenti, per esempio, erano rispuntati nel decreto Iva di ottobre, poi travolto dalla crisi politica; ma, soprattutto, le percentuali ballerine circondano l’intera vicenda dell’Imu.
Per evitare il saldo sull’abitazione principale occorrono poco più di due miliardi secondo i primi calcoli del Governo, ma se si vuol fermare l’imposta per gli immobili agricoli (già esentati dalla prima rata di giugno) e calcolare nelle compensazioni anche le aliquote 2013 dei Comuni, come i sindaci chiedono a gran voce, i miliardi da trovare diventano tre. E, ancora una volta, la prima leva da azionare sembra essere quella degli acconti: nelle scorse settimane il Governo ha studiato l’ipotesi di far salire al 116% quelli per banche e assicurazioni, con un balzo record che però porterebbe in cassa solo 1,6 miliardi. Senza dimenticare che la prima rata Imu è tramontata per i contribuenti, ma non per il bilancio pubblico ancora a caccia di coperture: il decreto di agosto blinda i saldi con una clausola di salvaguardia, e a che cosa guarda la clausola? Agli acconti, naturalmente.
Da ogni punto di vista, il continuo ricorso agli acconti per coprire questa o quella scelta è il sintomo della febbre della politica fiscale, anche perché quando - come nel caso dell’Ires, l’acconto supera il 100% e si trasforma in un «prestito obbligatorio» allo Stato - bisogna pensare prima o poi alla sua restituzione. Con un’aggravante: in un paese incapace di tagliare la spesa, la copertura rischia di arrivare con il solito modo. E cioè con l’aumento delle tasse.