Andrea Nicastro, La Lettura, Corriere della Sera 17/11/2013, 17 novembre 2013
È UN THRILLER BANALE E GLI AUTORI SIAMO NOI
[Javier Cercas]
«Non sono un esperto dell’omicidio Kennedy e in genere non sopporto i superficiali, i giornalisti da instant book . A maggior ragione penso che uno come me che fa lo scrittore non debba parlare di ciò che non conosce a fondo». Javier Cercas è lì lì per rifiutare il colloquio. Sarebbe un peccato, però, perché, non sarà un esperto come dice, ma dimostrerà di avere bene a mente protagonisti, fatti e significati dell’attentato di Dallas. E, soprattutto, perché l’omicidio Kennedy sembra un cold case perfetto per un suo libro. Cercas ha sempre scritto sui miti, sui drammi determinanti della storia del suo Paese, la Spagna. La Guerra civile nei Soldati di Salamina , il tentato golpe del colonnello Tejero in Anatomia di un istante , la transizione da dittatura a democrazia nel suo ultimo Le leggi della frontiera (edito in Italia, come gli altri, da Guanda).
Possibile che non si sia sentito attrarre dal caso Jfk?
«Ho sempre pensato che ci fossero moltissime somiglianze tra l’assassinio del 1963 a Dallas e il golpe del 1981 in Spagna. Entrambi gli eventi sono stati ripresi con le telecamere. Non sono le pugnalate a Giulio Cesare che emergono solo dalle parole lasciate sulla carta. In questi due casi esistono le pellicole: per Kennedy una 8 mm senza sonoro, per il golpe le tracce delle telecamere professionali della tv a colori e con l’audio. Eppure restano snodi della storia senza un’interpretazione condivisa. Ci sono le immagini: ma noi, la gente, non riusciamo a vedere cos’è successo realmente. Perché? Sia il golpe di Tejero sia l’omicidio Kennedy sono punti precisi nei quali convergono i demoni del passato di Spagna o Stati Uniti. Sono come specchi che riflettono chi li guarda. C’è una vecchia battuta che funziona ancora molto bene. Che cos’è uno spagnolo? Un tizio che ha un’opinione sul colpo di Stato. Su chi l’abbia fomentato, architettato e occultato. Sono convinto che si potrebbe benissimo adattare agli americani. Chi ha ucciso il presidente Kennedy? Non riescono a mettersi d’accordo, si dividono per bande. Ognuno insegue le sua fantasie e la ragione annaspa».
Un humus perfetto per un romanzo giallo, un romanzo pieno di misteri.
«Non sono d’accordo. Mi pare piuttosto il contrario. Il mistero qui è tutt’attorno al fatto. È nella testa della gente, è nelle esche lanciate ai giornali o dai giornali. Qui la fantasia è soverchiante rispetto alla realtà. Un romanziere non può competere con il polverone di invenzioni che si è sollevato nei decenni».
In fondo il romanzo è fantasia, perché si dichiara sconfitto in partenza?
«“Go, go, go, said the bird: human kind/ Cannot bear very much reality ”. Sono versi di T.S. Eliot. “Vai vai vai, disse l’uccello: gli esseri umani/ non possono sopportare troppa realtà”. Siamo fatti così. Secondo me un romanziere non deve competere sul piano delle cospirazioni, dei complotti politici con i professionisti del genere. Quando mi sono interrogato sul golpe spagnolo ho concluso che l’unico modo di scriverne fosse rinunciare alla fiction per ripulire la realtà di tutte le incrostazioni che vi si erano appiccicate. Lo stesso, credo, dovrebbe fare un autore americano nell’affrontare l’attentato di Dallas».
In effetti non c’è un equivalente Usa di «Anatomia di un istante». Sono stati scritti più di duemila libri dall’attentato del 1963, ma nessuno ha lasciato il segno.
«Però c’è Jfk , il bellissimo film di Oliver Stone che ha surclassato le infinite produzioni scadenti che Hollywood ha girato sul tema. Stone ha fatto quello che probabilmente si doveva fare sullo schermo. E l’ha fatto al meglio. Infatti parte dal video ripreso per caso dal sarto Abraham Zapruder. Ci gira attorno, lo ricrea con la potenza finanziaria che l’industria americana del cinema può mettere in campo. Poi però lo annaffia con le sue solite tesi sulla verginità perduta dell’America. Su quanto si stava meglio prima. Fa la sua scelta, legittima, ma che non è la mia».
Non crede alla fine della Camelot americana?
«Kennedy era giovane e bello, su questo sì non c’è dubbio. Ma cos’altro aveva di eccezionale? Non dobbiamo cadere nella tentazione di rendere i morti dei miti. Cosa sarebbe stato della sua fama se non fosse stato ucciso? Non lo sappiamo. Ma possiamo vedere quello che ha fatto prima. Tanto per cominciare era un donnaiolo. Poco originale. Poi, in politica estera, è stato come un qualunque presidente americano prima e dopo di lui. Solo peggiore, visto che ha portato il mondo sull’orlo del baratro nucleare con la crisi dei missili a Cuba».
Però rappresentava una novità, era pieno di nemici. Neppure ciò rende romanzabile il rebus del delitto?
«Quale presidente non ha grappoli di avversari e oppositori? Ripeto, ci ha già pensato la gente a farne un romanzo giallo. Hanno parlato di cubani, del Kgb, della Cia, del vice presidente Lyndon Johnson, di pallottole magiche. Hanno costruito una storia di cospirazione mafiosa e una che ha come mandante niente meno che il Papa. Cosa si può aggiungere? I marziani?».
Basterebbe ricostruire le indagini.
«La Commissione Warren ha commesso un’infinità di errori. Alcuni così marchiani da risultare irrealistici se scritti in un romanzo. Gli storici fanno ancora resistenza a esprimersi sul caso proprio perché non ci sono documenti decisivi».
Neppure dopo che l’ex presidente Bill Clinton ha declassificato i file sull’omicidio?
«Il problema è che i documenti ufficiali non sono convincenti. Mancano le prove. Ci vorrebbe una letterina di Oswald al Papa in cui avverte Sua Santità che l’ordine, di cui lui sa, verrà eseguito il 22 novembre. Sarebbe già un punto di partenza. Invece Oswald ha cambiato versione, si è contraddetto, ha negato. Così ha lasciato spazio alle invenzioni di chiunque. La realtà è spesso più semplice e lineare della fantasia. È più vicina a noi di quanto ci piace pensare».
È stato Lee Harvey Oswald?
«E chi altri? La lettera dal Vaticano, l’ordine di Castro, degli anticastristi o di Lyndon Johnson non si trovano semplicemente perché non esistono. La verità è che gli uomini, tutti noi, abbiamo uno straordinario bisogno di fantasticare, di costruire mondi paralleli che siano più affascinanti, credibili e coerenti della grigia realtà in cui siamo immersi. Fosse un romanzo, l’assassinio di Kennedy, con tutti i suoi intrecci, le ambiguità, i misteri irrisolti, sarebbe un libro scadente, una summa di trame complottiste senza nulla di credibile».
@andrea_nicastro