Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 17 Domenica calendario

LE FORZE OSCURE DIEDERO ALL’AMERICA IL SUO CASO MORO


[Petros Markaris]

In tutti coloro che hanno vissuto i vagiti di un nuovo mondo, credendo che il sogno si potesse davvero realizzare, quella triste giornata novembrina di cinquant’anni fa è scolpita nella memoria. L’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy ha ferito gravemente l’innocenza di tutti noi, innamorati della «Nuova frontiera» e dolcemente perduti nel pensiero di poter costruire società più giuste e solidali. Anche nello scrittore greco Petros Markaris, grande sceneggiatore e giallista di fama internazionale, quell’amaro ricordo provoca un moto di autentica commozione. Lo sguardo si perde alla ricerca di un approdo inafferrabile. Dice: «No, non vedo nessuno e non prevedo che vi possa essere, nel prossimo futuro, un altro leader capace di proporre credibilmente un’altra “Nuova frontiera”».
Vuol dire che siamo condannati a essere orfani di Jfk per sempre?
«Per adesso sì. Siamo orfani delle idee di un presidente straordinario e visionario. Era giovane, bello, coraggioso, determinato. Sapeva osare, era capace di trasformare in grido anche il suo understatement . Certo, oggi avremmo un disperato bisogno di un leader come lui, capace di caricarsi sulle spalle la responsabilità della guida di un mondo confuso, in cerca di un baricentro, di un polso sicuro. Non credo che esista».
Lei è noto anche perché è un uomo libero, che osserva senza pregiudizi e senza vincoli di appartenenza. Non vede proprio nessun nuovo visionario all’orizzonte?
«Noi non stiamo vivendo un periodo di visioni, ma di misure amministrative. È vero, ad esempio, che Barack Obama ha idee, coraggio, e qualche strategia vincente come quella, assai accidentata in verità, della riforma sanitaria, che ha portato gli Stati Uniti a specchiarsi nel welfare della vecchia Europa. Ma per riproporre una “Nuova frontiera” non bastano le idee. Occorre quel pragmatismo che finora non è stato espresso».
Che cosa pensa di papa Francesco?
«Penso che un uomo straordinario sia arrivato al vertice della Chiesa cattolica. Ne sono sorpreso. Papa Francesco è grande perché è semplice pur avendo una notevole personalità. Ha idee chiare che arrivano alla mente e al cuore della gente, e poi sento che è un liberale sofisticato. Tuttavia, trasferire tutti questi valori nella politica, nella guida di uno Stato laico, nel timoniere del mondo, è assai difficile. Quanto sta facendo però supera qualsiasi immaginazione. Mi piace e ho molta paura per lui. Temo ci siano forze che farebbero di tutto per fermarlo».
Entriamo nel terreno che a lei è più congeniale: quello dell’inchiesta, dei sospetti, degli indizi, insomma dell’indagine investigativa. Markaris, qual è la teoria che più la convince sull’assassinio di Kennedy?
«Tra le tante versioni affiora, prepotente, quella che credo si avvicini alla verità. Kennedy voleva fortemente interrompere il buio cammino della Guerra Fredda, della contrapposizione tra i blocchi. La sua colpa, se colpa si può chiamare, è stata di essere arrivato troppo presto. L’equilibrio della paura tra Est e Ovest non poteva tollerare che al vertice della più grande superpotenza fosse arrivato un liberale. Di sicuro, la sua elezione fu ritenuta “un intollerabile incidente”. Un incidente che ha segnalato ai leader del male, che vivono e operano lontani dai palcoscenici, l’inaccettabilità del grave pericolo. Quelli, per non perdere la loro influenza, dovevano e volevano fermare il presidente. A tutti i costi».
E per questo lo hanno ammazzato?
«Sì. Vede, l’identità del mandante (o dei mandanti), secondo me è trasversale. Non mi stupirei affatto se si fossero coalizzate le forze occulte e opache di entrambi i blocchi: Stati Uniti e Unione Sovietica. Ricordi bene che il copione si è ripetuto in altri Paesi e in altre situazioni».
Faccia un esempio.
«Penso proprio all’Italia e all’assassinio di Aldo Moro. Il presidente della Democrazia cristiana, rapito dalle Brigate rosse, alla fine è stato ucciso. La ragione dell’esecuzione è sicuramente politica, e quasi sicuramente decisa altrove. In scala inferiore, rispetto all’assassinio di Kennedy, ma la logica è la stessa. Moro era lo stratega del compromesso storico, cioè del percorso che avrebbe portato alla coalizione fra democristiani e comunisti, privilegiando ovviamente le forze del dialogo di entrambi i campi. Questo non era gradito, appunto, alle forze occulte e opache di entrambi i blocchi. Un conto sono le Brigate rosse, almeno così come erano nate, un altro sono coloro, infiltrati o meno, che hanno ammazzato il leader della Dc. La logica avrebbe voluto che le Br liberassero il leader. Infatti, Moro restituito alla vita politica sarebbe stato ben più devastante di un cadavere. Ma ci sono altri casi che mi hanno fatto pensare».
A chi pensa?
«Al tentato assassinio di papa Giovanni Paolo II. Anche qui, ne sono convinto, si sono mosse forze occulte. Da una parte il Pontefice turbava l’equilibrio della guerra fredda, dall’altra non era mai stato tenero nei confronti del capitalismo più duro. Anzi, era stato quasi spietato nel denunciarne gli eccessi. Poi c’erano troppe e incontrollate scorribande finanziarie, anche in Vaticano. Quel che mi colpisce è la sciatteria della preparazione e della fase esecutiva dell’agguato in piazza San Pietro. A cominciare dalla scelta del killer, lo strano e inaffidabile turco Alì Agca, che altro non era che una pistola in vendita. Troppo improbabile per essere la mano di un complotto ordito da un Paese forte, come si è pensato per molto tempo. L’Urss il mandante, che agisce via Bulgaria. No, non convince per niente. Le ragioni sono ben altre».
Lei, con una serie di libri di grande successo (in Italia editi da Bompiani), ha inventato un personaggio, il commissario Charitos. Un poliziotto di buon senso. Che cosa penserebbe il commissario del delitto Kennedy, avvenuto mezzo secolo fa?
«Non credo che potrebbe darci una mano a individuare il vero colpevole. È una vicenda troppo grande e complessa per un modesto investigatore come lui».
Mi tolga una curiosità: faremo mai luce definitiva su questo assassinio?
(Lo scrittore, dopo aver riflettuto per un attimo, decide di comportarsi da giallista di razza e regala a quest’intervista un po’ di sana suspense.) «C’è ancora molta gente in vita che protegge questo inquietante segreto. Sono sicuro che, tra qualche tempo, ci sarà qualcuno che parlerà. E allora la verità sarà chiara a tutti».
Se lo dice lei, caro Markaris, la prendiamo in parola.

aferrari@corriere.it