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 2013  novembre 17 Domenica calendario

S’ERANO TANTO AMATI L’EREDE DI CALDER SFIDA L’EREDE DEL GALLERISTA


[immagine in allegato]

Filantropo? Può darsi. Finanziatore? Non solo. Uomo d’affari? Quasi sempre. L’agente o il gallerista possono avere una o tutte queste sfaccettature insieme, ma spesso ciò che li lega all’artista è anche l’amicizia che li fa diventare confidenti capaci di sopportare pazientemente i capricci, le bizzarrie e le richieste di denaro meno fondate. Ma l’amicizia è un sentimento che può anche essere tradito in nome del dio denaro vendendo opere false, se le quotazioni schizzano in alto, oppure può essere infangato da eredi senza scrupoli.
Considerato uno dei più innovativi artisti del ventesimo secolo, a 56 anni Alexander Calder era già uno scultore affermato e famoso quando, nel 1954, il quarantaduenne Klaus Gunter Perls divenne il suo venditore, gallerista esclusivo, ma soprattutto amico fraterno. Sono entrambi morti, ma l’erede dello scultore ha trascinato l’erede dell’altro davanti alla Corte Suprema dello stato di New York accusando il gallerista deceduto di falso, frode e appropriazione indebita. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, i collezionisti già pagavano somme notevoli per i «mobili» di Calder, opere fatte di fili di ferro colorati che reggono in equilibrio bracci ai quali sono ancorate placche di metallo, anch’esse colorate, che si muovono alla minima brezza. Alle aste d’arte oggi il valore raggiunge i milioni di dollari.
Alexander Calder era nato nel 1898 in Pennsylvania da Nanette Lederer, una ritrattista che aveva studiato alla Sorbona di Parigi, e da Alexander Stirling Calder, anche lui scultore. Si cimenterà anche in realizzazioni imponenti, come la sua ultima scultura «stabile» installata nella Holland Square di Gerusalemme nel 1977, un anno dopo la sua morte. L’incontro tra Calder e Perls generò un profondo legame che durò fino alla morte dell’artista, 22 anni durante i quali i due viaggiarono insieme condividendo importanti esperienze. «Si fidava di lui completamente», dichiara il nipote dello scultore, Alexander Rower, aggiungendo che lui stesso considerava Perls e sua moglie Dolly, morta nel 2002, come «cari zii» e che è stato un «colpo al cuore quando si sono rivelati dei ladri».
La reputazione di Klaus Gunter Perls non era mai stata scalfita prima d’ora. Nato a Berlino da genitori ebrei e anche loro galleristi, lasciò la Germania all’avvento del nazismo per trasferirsi prima in Svizzera, poi in Francia, stabilendosi infine a New York nel 1935. Presidente dell’Associazione americana dei galleristi, titolare di un’importante galleria sulla Madison Avenue ed estimatore degli artisti contemporanei, negli anni Settanta donò al Metropolitan Museum un’importante collezione d’arte africana dell’impero del Benin alla quale, nel 1996, aggiunse 13 opere d’arte moderna, tra cui Picasso e Modigliani. Una donazione da 60 milioni di dollari, la maggiore ricevuta dal museo nel ventesimo secolo, tanto che alla sua scomparsa nel 2008 il direttore del Metropolitan lo definì «un conoscitore e un esperto», un «donatore e un amico».
La disputa legale tra gli eredi cominciò dopo che nel 2010 una galleria canadese contattò la Fondazione Calder, diretta da Rower, chiedendo informazioni sul mobile Costellazione stabile che aveva acquisto da Perls per un milione e mezzo di dollari. Un’opera che, secondo il nipote (ha speso 15 anni nella realizzazione di un catalogo completo dei lavori del nonno), «non era inclusa nell’elenco ufficiale delle opere detenute dalla galleria Perls» alla morte del titolare, ha dichiarato al «New York Times». Delle due l’una: o la galleria ha venduto un falso; oppure ha ceduto un pezzo che aveva nascosto di possedere, tenendosi così i soldi della vendita. Nell’atto di citazione depositato contro Katherine Perls, Alexander Rower sostiene che ci sarebbe traccia dell’esistenza di «679 pezzi» che non sono stati inseriti nella famosa lista post mortem , tra cui sculture in bronzo, gioielli e altri lavori. «Per almeno 529» esisterebbe anche una prova fotografica. Opere del valore di milioni e milioni di dollari, molte delle quali risultano consegnate in Svizzera a una misteriosa «Madame Andre». Un nome falso dietro il quale in realtà si celava un conto svizzero aperto da Klaus Gunter Perls per esportare all’estero parte dei suoi favolosi guadagni.

Il segreto è stato svelato in una deposizione da Katherine Perls, la quale ha aggiunto che anche Calder aveva un conto segreto in Svizzera, una circostanza negata con decisione da Rower. La signora, che non rischia l’accusa pesante di frode fiscale perché nel 2009 la galleria ha aderito a una specie di scudo varato dall’amministrazione Obama per far rientrare in patria i capitali nascosti all’estero, ha poi detto che la Costellazione stabile non è un falso, ma un regalo fatto di persona dallo scultore a sua nonna. Nella sua testimonianza, Katherine Perls ha dichiarato che nel 2005 la galleria fondata dal nonno fu vittima di un ricatto da parte di un impiegato che chiedeva 10 milioni di dollari. Temendo che, se si fosse finiti in tribunale, l’uomo avrebbe potuto rivelare l’esistenza del conto svizzero e dei milioni che vi erano depositati, venne raggiunto un accordo per la metà di quella somma. Quello stesso impiegato, chiamato a testimoniare a sua volta, ha rivelato che la galleria Perls avrebbe venduto 30 falsi Calder.
Rower non solo gli crede, ma aggiunge di sospettare che in realtà i falsi venduti siano stati 61, anche se non è in grado di dire se Perls lo fece consapevolmente. «Accuse costruite a tavolino», dicono i legali di Katherine Perls i quali sostengono che non c’è nulla di irregolare e che è del tutto normale che andando a ripercorrere un rapporto di affari e di amicizia durato oltre 22 anni e chiuso molti anni fa, non sia possibile ricostruire tutto ciò che è accaduto. Per questo hanno chiesto alla Corte Suprema di New York di archiviare il caso perché insussistente oppure perché ormai le eventuali irregolarità denunciate dal ricorrente sono andate in prescrizione.

gguastella@corriere.it