Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera 17/11/2013, 17 novembre 2013
ROBERTO GERVASO RESUSCITA MUSSOLINI: «FA IL GIORNALISTA E RACCONTA L’ITALIA»
Non fu mai fucilato, Benito Mussolini. Non era lui l’uomo appeso per i piedi alla tettoia di un distributore di piazzale Loreto, a Milano. No, quella notte d’aprile del 1945 il Duce riuscì a fuggire in Svizzera con Claretta Petacci per poi vivere oltre mezzo secolo sotto le mentite spoglie di Porfirio Oriani, giornalista di un piccolo quotidiano proletario del Ticino. È l’ardito espediente narrativo usato da Roberto Gervaso per raccontare con puntuto sarcasmo un secolo di storia d’Italia, dal ventennio del Cavalier Benito a quello del Cavaliere di Arcore. Un po’ romanzo, un po’ saggio, «Lo stivale zoppo» (Mondadori), ultima fatica del giornalista e scrittore torinese, attraversa fatti e aneddoti usando volti, vizi e virtù dei protagonisti. A cominciare da quel Benito che s’installò a Palazzo Chigi quando non aveva ancora quarant’anni, che Gervaso vede come «un Vulcano in camicia nera, nato per rimettere ordine in un Paese di Arlecchini, Pulcinella, Maramaldi, Schettino, Minetti, Fiorito». Il premier più dinamico, volitivo, pittoresco, ambizioso, magnetico e imprevedibile, dice: «Ogni sua mossa una sorpresa, ogni suo gesto lasciava il segno, ogni sua parola era un proclama, ogni suo silenzio un problema». Di Mussolini emerge lo spirito dionisiaco, la sete di conquista, l’egocentrismo che lo spingeva a caricare come un fucile la sua azione politica e a cercare incessantemente l’ebbrezza della carne: «La sola che si concedeva...al bordello di via degli Avignonesi, di cui era l’azionista di riferimento e dove si recava travestito da impiegato delle Poste». Mentre Claretta Petacci era l’amante di sempre, l’eletta che lo seguì fino alla morte nonostante Rachele, la moglie. Il fascismo, l’alleanza con Hitler, «l’ex imbianchino di Braunau, l’assassino più assassino dela storia, il feroce minotauro germanico, armato di un furore teologico contro i figli di Mosè che decise di annientare», poi la guerra, la caduta, Salò e la fuga in Svizzera. Per Gervaso, dunque, a Giulino di Mezzegra, nel Comasco, Mussolini non fu ucciso. Riuscì invece a varcare il confine, a cambiare identità: fu Porfirio Oriani, polemista dei fatti d’Italia del dopoguerra e di oggi. Mussolini-Oriani, «non pronunciò mai una parola contro De Gasperi, che aveva fatto arrestare per antifascismo, né contro Nenni, suo vecchio amico e compagno, che con lui aveva condiviso il carcere». Gli strali più violenti non li riservava ai comunisti ma ai democristiani che «diceva, avevano rovinato l’Italia consegnandola a preti e ladri». La sua bestia nera era Moro: «Non gli perdonava di essersi piegato a ogni sorta di compromessi con il Bottegone e di essersi arreso ai suoi voleri». Il giornalista Mussolini aveva un’ottima opinione di Almirante, «coraggioso e leale» e considerava Fini «il peggiore e il più sciocco dei suoi diadochi», mentre descriveva Andreotti «un valletto pontificio, intelligente e cinico». Su Craxi e Berlusconi, «suoi figli adottivi, aveva cambiato spesso opinione. Bettino gli era piaciuto fino a Sigonella. Per il Cavaliere malcelava una certa tenerezza, anche se non lo giudicava uno statista. Ne invidiava le imprese amatorie». Pensieri attribuiti a Mussolini. «Ma sono miei — riconosce Gervaso — questa classe politica non merita nulla, i grandi statisti italiani sono finiti con De Gasperi, Einaudi e Togliatti». Quanto Mussolini c’è in Berlusconi? «Nulla, solo l’aspirazione a diventarlo».
Andrea Pasqualetto