Giuseppe Dierna, la Repubblica 17/11/2013, 17 novembre 2013
IL ROMANZO SPERIMENTALE DEL GRUPPO 63, MEZZO SECOLO DOPO
Dopo la riproposizione da Bompiani dell’Antologia fondante del Gruppo 63 e della raccolta di saggi del ’76, esce oggi presso la casa editrice L’orma (dove si è appena trasferita la collana “Fuoriformato” di Andrea Cortellessa) l’anastatica del non meno mitizzato Il romanzo sperimentale, con gli interventi all’incontro di Palermo del settembre 1965, seguito da una corposa silloge di contributi che con quelle antiche pagine oggi si confrontano Col senno di poi, come recita il titolo di questa rivisitazione cinquant’anni dopo.
Ma cosa può ancora interessare oggi nell’archeologica discussione del ’65 sul romanzo sperimentale? Non certo l’oggetto, quel romanzo “sperimentale” messo a fuoco – se si esclude Umberto Eco – in modo superficiale o arruffato, frutto di una visione «filosofica» o mitico- ideologica della questione “romanzo”, ma soprattutto di un’assenza di specifici strumenti critici (al massimo un’infarinatura di formalismo russo o di proto-strutturalismo francese). Per cui, quando Eco nota che il linguaggio un tempo provocatorio dell’avanguardia è ormai disinnescato nell’orizzonte delle attese del nuovo lettore, prospettando come necessaria un’alternanza di norme estetiche, o viene frainteso (quasi parlasse di ricezione) o accusato di un’ottica da “non letterato”. Ma forse il problema era anche un altro, e cioè che un romanzo sperimentale non lo si poteva descrivere ma, al massimo, scrivere.
Affascina ancora, di quelle giornate, quell’“eccitazione del nuovo” di cui parla oggi Balestrini, la schiettezza irriguardosa della discussione ma anche la sua ampiezza e profondità, il suo utopistico carattere progettuale, per cui Angelo Guglielmi poteva affermare che «il romanzo sperimentale italiano lavora per l’istituzione di una nuova cultura, di una nuova tradizione romanzesca », e il fatto di aver posto la discussione – non solo sul romanzo, ma sulla scrittura in genere – come corollario imprescindibile della scrittura stessa, discussione teorica oggi – e anche in taluni interventi dell’ultima sezione del volume – o parodiata in narcisistica chiacchiera su se stessi o sommersa da un’arrogante mancanza di consapevolezza critica (oggi inscusabile), che vede presunti sperimentalismi in banali riutilizzi della tradizione novecentesca.
Rimangono, di allora, la requisitoria di Manganelli contro il romanzo che «ha scelto di balbettare delle verità, mentre era suo compito declamare delle fluenti menzogne», e – di oggi – le scuse tardive per le provocazioni del tempo, quando Cassola e Bassani venivano definiti delle «Liale», ma poi Liala – una delle scrittrici qui più citate, benché solo metaforicamente – non compare neanche nell’utilissimo indice dei nomi.